Montù Beccaria (Pavia), 26 aprile 2023 – Riaprire le indagini sulla morte di Fabio Rapalli: lo chiede Claudio Ghini, che prima come sottufficiale dei carabinieri della Compagnia di Stradella, poi come investigatore privato incaricato dalla famiglia, ha cercato la verità sulla fine del giovane di Montù Beccaria, nell’Oltrepò Pavese. Una morte su cui incombe l’ombra del satanismo. Ghini (oggi titolare di un’agenzia a Stradella) ha inviato alla Procura di Massa Carrara, competente sul territorio dove venne ritrovato il corpo senza vita di Rapalli, una relazione di una trentina di pagine con la sintesi di quindici anni di ricerche e una indicazione: fare attenzione al processo alla Setta delle bestie, in corso davanti alla Corte d’Assise di Novara.
«Non intendo – dice Ghini – formulare accuse, ma solo proporre un’ipotesi investigativa. L’attività della Sette delle bestie si è svolta fra il 1990 e il 2020, quindi, in teoria, potrebbe comprendere il periodo in cui si è consumato il dramma di Fabio Rapalli. La setta aveva a disposizione un immobile anche a Costa Montefedele, la frazione di Montù Beccaria dove Fabio viveva con la famiglia. Fabio è sepolto nel piccolo cimitero di Costa Montefedele e non in quello del capoluogo, una circostanza di cui poteva essere a conoscenza solo qualcuno che abitava nella zona o che la frequentava. Il 7 giugno del 1997 sulla lapide provvisoria della tomba di Fabio vennero tracciate con una sostanza traslucida una forca a tre punte e la scritta "siamo noi". La speranza è che dall’esame dei circa cento testimoni citati a Novara possa uscire qualcosa che ci avvicini alla verità". Nel 1996 Fabio Rapalli ha 31 anni. È schivo, solitario. Il 16 maggio, contrariamente alla sua abitudine di non allontanarsi, parte alla guida della sua motocicletta Aprilia Pegaso.
Ricompare, stravolto, nella tarda serata. Racconta di essere stato a Genova. Al ritorno, stranamente, è passato per la Cisa. Sparisce tre giorni dopo. Il 7 settembre due cacciatori scoprono il cadavere mummificato in un dirupo lungo il passo della Cisa, nella località Montelungo, comune di Pontremoli. La testa staccata dal tronco. Dal ramo di un albero penzola una corda con un nodo scorsoio. Ai piedi dell’albero una candela e un coltello da cucina conficcati nel terreno, due accendini usa e getta, il porta patente vuoto. Stranezze, misteri. Fabio non era capace neppure di allacciarsi le scarpe.
La candela è perfettamente bianca, come se fosse stata collocata da poco. Le parti metalliche degli accendini non sono intaccate dalla ruggine, che ha risparmiato anche la moto e il casco, ritrovati soltanto il 2 novembre. Il Diavolo occhieggia nella tragedia. Un mese prima di smaterializzarsi, Fabio ha posto una domanda a bruciapelo a don Luciano Chiesa, parroco di Costa Montefedele: "Il Diavolo esiste?".
Candele e accendini (il ragazzo non fumava) suggeriscono l’idea di un rituale. Da un libro nella camera di Fabio escono un foglio con il disegno di una croce rovesciata e altri fogli con frasi che si riferiscono a Satana.
La Procura di Massa Carrara apre e archivia due fascicoli, uno per suicidio, il secondo per omicidio volontario. Un altro dramma fa da interfaccia. La mattina del 25 novembre 1998, nella stessa località Montelungo di Pontremoli, viene rinvenuto il corpo di Roberto Bossi, trentunenne come Rapalli, autotrasportatore di Castel San Giovanni (Piacenza). È nella Volvo del padre, morto dopo avere ingerito soda caustica.