MATTEO ALFIERI
Cronaca

Mamma in sciopero della fame per il figlio disabile, Elena Improta: “Io non ho 300.000 euro”

Mario è tetraplegico, la madre ha fondato una Onlus e un centro per il “Dopo di noi“ a Orbetello: "Ora spero nella mediazione di don Luigi"

Elena Improta e suo figlio Mario

Elena Improta e suo figlio Mario

Orbetello (Grosseto), 26 luglio 2023 – Non mangia da dodici giorni. E il suo corpo non reagisce. Elena Improta, mamma-coraggio, prosegue lo sciopero della fame per tutelare il diritto alla vita e al futuro del figlio Mario, disabile grave dalla nascita, ma anche della casa-famiglia che ospita il progetto Dopo di noi per suo figlio ma anche per altri disabili accolti tra quelle mura di Orbetello. Uno sciopero destinato a proseguire solo per qualche giorno, però, altrimenti il corpo di Elena, impegnata in una battaglia lunga ormai trent’anni, potrebbe cedere con gravissime conseguenze per la sua salute.

Trentaquattro anni fa Elena dette alla luce Mario con un parto a rischio, nella clinica Villa Mafalda di Roma. Lei aveva 26 anni: le dissero che suo figlio non avrebbe mai parlato, né camminato e non avrebbe mai potuto vivere senza assistenza. Elena, che all’epoca abitava a Roma (dov’è rimasta fino a tre anni fa prima di trasferirsi a Orbetello), cominciò allora una lunga battaglia legale. Dopo varie perizie, venne confermato ragionevolmente il nesso tra il rapporto della sofferenza ipossico ischemica e l’assenza di ossigeno con la condizione di Mario. Ma non il nesso di negligenza dei medici e della clinica.

Elena decise allora di impegnarsi per creare un futuro dignitoso ai ragazzi come suo figlio. Dall’angoscia al pensiero di cosa sarebbe stato di Mario quando lei non ci sarebbe stata più lì accanto come in tutti quegli anni ad assisterlo - una condizione che Elena condivideva con tanti altri genitori di figli disabili gravi dal futuro incerto - , nasce la sua volontà di dare vita alla Onlus Oltre lo Sguardo e la scelta di Orbetello come luogo ideale per la Casa di Mario , grandi locali luminosi che si aprono sulla laguna che ospitano ragazzi come suo figlio. Una rinascita per Elena e Mario.

Ma il tempo della serenità è stato travolto da una sentenza del tribunale. Elena ha perso la causa contro la clinica per quel parto che non andò come doveva: dovrà pagare quasi 300mila euro di spese legali. Soldi che non ha.

Qualche giorno fa Villa Mafalda ha respinto ogni proposta di mediazione, rifiutando l’offerta di un terzo della cifra dovuta e limitandosi a proporre la rateizzazione dell’intero importo.

E adesso che cosa succederà?

"Stiamo aspettando la definizione ufficiale degli avvocati – risponde con un filo di voce Elena, piegata dal digiuno –. Per il momento c’è soltanto l’interessamento al nostro caso da parte dell’onorevole Marco Simiani".

Esiste una luce di speranza?

"Una speranza c’è. E si chiama Luigi D’Errico, il prete romano che guida la parrocchia dei Santi Martiri dell’Uganda, all’Ardeatino, ed è il referente diocesano della pastorale per le persone con disabilità".

Vi darà una mano?

"Si è proposto per provare a fare la mediazione con i vertici di Villa Mafalda. La mia speranza? Magari riuscire ad avere una donazione dello stesso importo da parte loro, che ci permetta di non chiudere. Altrimenti saremo costretti ad affidare la nostra realtà, la Casa di Mario , ai privati e provare a rateizzare il debito attivando un piano di rientro". Nel frattempo la petizione su Change.Org in una settimana ha sfondato il muro delle 5mila firme. Che non sono neppure servite per smuovere le istituzioni nazionali.

Come mai non ha risposto nessuno alle sollecitazioni, neppure la premier Meloni e il presidente Mattarella?

"Non so cosa dire, quello che so è che adesso servono certezze. Ma non posso mollare. Lo devo a Mario e a tutti quelli come lui".

Lo sciopero della fame però dovrà essere presto interrotto.

"Mi sono sottoposta alle analisi del sangue e i risultati non sono buoni. Ho un inizio di sofferenza renale. Non potrei andare avanti molto di più".

Sofferenze, dunque. Che si aggiungono a quelle di una società i cui vertici hanno dimenticato che cosa significhi la solidarietà.