Meteo, il geologo Casagli: “Con 400 millimetri di pioggia in poche ore non c'è territorio che tenga”

L’unica soluzione? “Imparare a conoscere il proprio territorio per convivere col rischio alluvioni. E, soprattutto, fermare il consumo di suolo”

Firenze, 25 settembre 2024 - Il maltempo continua implacabilmente a far danni, con sempre maggior frequenza.

"Succede e succederà quest'anno, l'anno prossimo, tra dieci anni. Perché il problema del dissesto geologico in Toscana, così come in tutta Italia e direi in gran parte dell'Europa meridionale, è ormai cronico". Scuote la testa Nicola Casagli, geologo, docente all'Università di Firenze, presidente dell'Ogs (l'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale) e membro della commissione grandi rischi che supporta la Protezione civile.

Il geologo Nicola Casagli
Il geologo Nicola Casagli

La questione, dice il geologo alla Dire, parte da lontano ed è legata "a due fattori ugualmente importanti": il cambiamento climatico e il massiccio consumo di suolo. Per quanto riguarda le precipitazioni, "piove meno, ma in maniera più violenta e concentrata su aree ristrette". E qui Casagli va dritto al punto: "Gli eventi che avvengono e che avverranno nei prossimi anni saranno di una violenza tale da mettere in crisi qualsiasi territorio, indipendentemente dalle opere che si possono fare. Perché, quando piovono 200, 300, 400 millimetri di pioggia in poche ore, pressappoco la metà della pioggia che cade a Firenze in un anno, non c'è territorio che tenga, per quanto lo si possa regimare". Questa è decisamente una brutta notizia. Ma Casagli ne dà anche una positiva: “Non ci aspettiamo più alluvioni ricorrenti, come accadde a Firenze nel 1966 e che riguardò anche il nord est dell’Italia. Simili alluvioni, così grandi e estese, non saranno impossibili, ma più rare”, argomenta Casagli. Che però aggiunge: “Eventi come quelli di Livorno nel 2017, a Campi Bisenzio nel 2023, a Marradi nel 2023 e di nuovo nel 2024, sono ormai da mettere all'ordine del giorno”.

C'è poi il consumo di suolo. "Abbiamo costruito in maniera troppo allegra e disinvolta ovunque, in zone franose, alluvionabili, nelle golene dei fiumi, sugli argini e su pendii instabili, sui vulcani e sulle faglie. E continuiamo a farlo perché il consumo di suolo, monitorato ogni anno dall'Ispra, non accenna a diminuire". E qui l'ingranaggio si inceppa soprattutto per una questione economica: "Costruire su un terreno vergine costa molto meno che recuperare un'area dismessa".

Proprio per questo se sul cambiamento climatico il processo di inversione della rotta, a cui si dovrebbero legare le politiche dei Paesi del globo, "è molto lungo", sul consumo di suolo "c'è più possibilità di agire, ad esempio rendendo più conveniente, anche con incentivi istituzionali, costruire sul costruito e demolire tante brutture fatte in passato per ricostruire in maniera più appropriata". Su questo aspetto si può e si deve lavorare. “Ma, certo, quando piovono 2-300 millimetri di pioggia…”, sospira il docente. Insomma, non ci resta che “convivere col rischio. Bisogna comprendere come funziona un fiume, una frana, un terremoto. E farlo comprendere ai cittadini. Mi spiego: i 226 millimetri di pioggia caduti sulla costa toscana sono una quantità spaventosa. Non c'è territorio che possa resistere. Ma conoscendo il proprio territorio le persone possono organizzarsi per subire meno danni possibile”. Ancora oggi, infatti, “si muore e si hanno danni per comportamenti sbagliati”. Un tipico esempio? Uscire per spostare l’auto quando c’è l’allerta meteo.

“Questa è la cosa più stupida da fare: quando ho più di 50 centimetri d'acqua sul terreno la macchina comincia a galleggiare; quando ne ho più di 80 non si aprono più gli sportelli e resto in trappola. Se questa cosa la insegnassimo a scuola guida, un sacco di persone si salverebbero. Si muore in macchina durante le alluvioni, raramente in casa”, osserva il professore.