Firenze, 18 dicembre 2022 - Un altro gigantesco punto interrogativo irrompe con fragore e rinnovato dolore nella memoria della tragedia del Moby Prince. A più di trent’anni di distanza da quella maledetta notte del 10 aprile 1991, quando 140 persone morirono bruciate sul traghetto della Navarma entrato in collisione con la superpetroliera Agip Abruzzo a due miglia e mezzo dal porto di Livorno, spunterebbe un’altra ipotesi dalla quale, però, la Procura di Firenze prende le distanze non confermando, come vedremo negli sviluppi di questo servizio.

Noi riportiamo il tutto soltanto a titolo di cronaca. Il clamore è suscitato dai lanci dell’agenzia AdnKronos secondo la quale "potrebbe esservi un feroce atto di pirateria navale compiuto per ritorsione nell’ambito di una guerra commerciale internazionale sul greggio iraniano, trasportato in Italia nonostante l’embargo". Lo scenario - riportato dall’agenzia - emergerebbe da una relazione tecnica presentata nei giorni scorsi in Procura a Firenze. Viene ipotizzato un collegamento con un altro grave incidente marittimo, quello della Haven, la petroliera cipriota esplosa improvvisamente - 14 ore dopo il disastro dell’Agip Abruzzo e del Moby Prince - durante un travaso di greggio da una cisterna all’altra, nel tratto di mare fra Genova e Voltri e colata a picco tre giorni più tardi. In quel caso persero la vita cinque membri dell’equipaggio.
L’ipotesi complessiva - si legge nell’agenzia - prenderebbe corpo dalla relazione che il perito nominato dalla Dda di Firenze, l’esplosivista Danilo Coppe, ha consegnato nei giorni scorsi agli inquirenti. Sono 70 pagine in cui si esclude la presenza di esplosivo a bordo del Moby Prince (ipotesi scartata anche dall’ultima commissione parlamentare d’inchiesta). Le tracce di esplosivo sui reperti sarebbero frutto di una contaminazione. E’ per la verità un dato noto che la Agip Abruzzo trasportasse 82mila tonnellate di ’Iranian light’ dal Golfo Persico, così come la Haven, nonostante l’embargo imposto all’Iran per paralizzare l’economia del Paese e convincerlo ad abbandonare il suo programma nucleare. Ed entrambe avevano caricato il petrolio nel terminal egiziano di Sidi Kerir, nell’omonimo porto, 27 chilometri a ovest di Alessandria. Entrambe sono andate a fuoco, a distanza di 14 ore l’una dall’altra. Stesso porto di carico e partenza. Stesso greggio ’Iranian light’, nonostante, con l’embargo in corso fosse assolutamente vietato, all’epoca, importare petrolio iraniano.
Secondo quando riportato dall’agenzia, vi sarebbe dunque qualche collegamento fra i due disastrosi incidenti. La Procura di Firenze, tuttavia, in serata ha puntualizzato di avere "il dovere di precisare che nelle indagini menzionate non sono emersi elementi da cui poter trarre le prospettazioni (del tutto congetturali). L’unico dato emerso con certezza - prosegue la Procura fiorentina nella sua nota stampa - riguarda la totale assenza di esplosivi quali fattori causali dell’incendio susseguente all’impatto tra le due navi. Circa il ’feroce atto di pirateria’ - conclude la Procura di Firenze - non ci è alcuna evidenza investigativa".