All’indomani del tragico schianto che, all’alba di domenica, ha spezzato la vita di Laura Chiricuta, 46 anni, la dinamica dell’incidente è confermata: la donna stava percorrendo via Buonarroti, a Viareggio, verso Lido di Camaiore, per andare al lavoro. All’incrocio con via Leonardo, un’auto guidata da A.C, un 28enne di Poggibonsi residente a Empoli, molto conosciuto nel mondo del calcio, ha bucato lo stop e l’ha centrata in pieno. Il guidatore è stato subito sottoposto all’alcol test, da cui è emerso un tasso di ben sei volte oltre il limite consentito. Il ragazzo al momento si trova in libertà: non essendoci il pericolo di una reiterazione del reato né di fuga. Confermata anche l’identificazione di un’altra persona all’interno dell’auto oltre al conducente. I testimoni, nei concitati momenti successivi all’incidente, hanno parlato di quattro occupanti del veicolo. Il dilemma sarà presto risolto: le forze dell’ordine hanno acquisito i filmati delle telecamere e potranno dare una risposta inequivocabile. Alla Procura di Lucca, il fascicolo è sul tavolo del pubblico ministero Paola Rizzo. Nel frattempo, la salma di Laura Chiricuta, la cui famiglia è tutelata dall’avvocato Fabrizio Miracolo, è a disposizione dell’autorità giudiziaria: ieri è stato svolto l’esame autoptico esterno. La 46enne di Torre del Lago lascia un figlio di 14 anni, nato da una relazione con l’ex compagno che lavora come chef sulle navi e sta rientrando da Boston, dove si trovava al momento dell’ incidente. Il ragazzo, per adesso, è stato affidato all’attuale compagna del padre, dal momento che i parenti più stretti della mamma abitano all’estero: la nonna in Romania e una sorella a Minorca.
Viareggio, 27 agosto 2024 – "Sì, ho letto” . Fa un respiro profondo Stefano Guarnieri, come se riemergesse da un abisso. Già conosce, attraverso i quotidiani, la storia di Laura Chiricuta. Travolta e uccisa mentre in scooter stava andando a lavoro, da un giovane automobilista che fatta l’alba di domenica ha bucato uno stop. Un ragazzo di 26 anni risultato poi positivo all’alcol test, e per questo denunciato per omicidio stradale. Reato introdotto nel 2016 grazie ad una legge ottenuta con una mobilitazione civica promossa dall’associazione Lorenzo Guarnieri. Aveva 17 anni Lorenzo, il figlio di Stefano e di Stefania, quando nel 2010 venne ucciso da un uomo che guidava ubriaco e drogato. Il ricordo di Lorenzo è diventato, per la sua famiglia, un impegno.
Ingegner Guarnieri, cosa prova oggi quando legge storie come quella di Laura?
"Provo due grandi dispiaceri. Il primo è per la persona, per Laura. Per tutto ciò che si è interrotto,che non accadrà più. E per la sua famiglia, per suo figlio, la sua comunità, per ciò che stanno attraversando e che si troverà ad attraversare. Il secondo dispiacere nasce invece dalla consapevolezza che come società continuiamo a non accorgerci, o fingiamo di non accorgerci, di queste grandi tragedie. Le dico solo che nel 2023 in Italia sono stati investiti e uccisi 485 pedoni. Se fosse successo in mare, se 485 bagnanti fossero stati travolti e uccisi dal transito di un’imbarcazione, si sarebbe fermato il mondo".
Invece sulle strade si continua a correre... Troppo spesso irresponsabilmente.
"È per questo che occorre lavorare per modificare la cultura delle mobilità in Italia, per rafforzare la consapevolezza che quando ci mettiamo in auto, sulla strada, abbiamo un’arma carica in mano".
Sono passati 8 anni dall’introduzione della legge sull’omicidio stradale. Quanto, questo strumento normativo, si è rivelato importante? Nella prevenzione degli incidenti?
"Molto, perché ha alzato il disvalore di questo reato, che non è di serie C. Ma è un omicidio. Però non basta. Per contrastare la violenza stradale servono percorsi sistemici di educazione stradale e di responsabilizzazione. E poi servono studi sul traffico, che partano però dalla ricerca di sicurezza e poi di fluidità, e non viceversa; servono controlli sulla circolazione; servono investimenti".
Se dovesse identificare un’urgenza, la prima, fondamentale per ridurre la mortalità sulle strade. Quale sarebbe?
"Ridurre la velocità, perché nei centri abitati è cruciale per mitigare le conseguenze che hanno gli incidenti. In nove casi su dieci se un’auto urta a 50 chilometri all’ora un pedone, una ciclista, uno scooterista, si hanno conseguenze irreparabili. A 30 chilometri invece, nove volte su dieci, il pedone, il ciclista, lo scooterista si salva. Bologna è stata la prima ’Città 30’, e in un anno il numero degli incidenti si è ridotto del 30%. Credo che sia la strada giusta da percorrere".
E per ridurre gli omicidi stradali?
"Dobbiamo continuare nel percorso di educazione. Che richiede un forte senso di scopo e una grande volontà, perché quando si lavora per la prevenzione si fa fatica ad accorgersi dei successi, mentre le sconfitte pesano come macigni".
In questi anni ha girato scuole e università, per insegnare ai bambini e ai giovani come comportarsi in strada. Qual è stato il successo più grande?
"Arriva proprio dagli studenti, quando dopo un incontro qualcuno si avvicina e mi ringrazia. Per averlo aiutato a comprendere l’importanza delle prudenza. Per me quella è una pacca sulla spalla, un incoraggiamento ad andare avanti in questo impegno". Oltre le sconfitte.