
Mostro di Firenze, nel cimitero di Montelupo Fiorentino riesumati i resti di Francesco Vinci (Fotocronache Germogli / Taddei)
Montelupo (Firenze), 20 marzo 2025 – I resti riesumati nel cimitero di Montelupo sono di Francesco Vinci, figura chiave nella cosiddetta ‘pista sarda’ per i delitti sul mostro di Firenze, conclusasi con un proscioglimento degli indagati. La conferma dall’esame del Dna come spiega il criminologo e investigatore privato Davide Cannella, procuratore speciale della famiglia Vinci che aveva chiesto l’esame.
Nessuna sorpresa dall’accertamento, voluto dalla vedova di Vinci, Vitalia Melis, convinta che la morte del primo sospettato di essere il serial killer potesse essere stata una messa in scena. Tuttavia, «quel Dna farà parte delmateriale investigativo raccolto sul killer delle coppiette - spiega Cannella -. È probabile che la Procura intenda confrontarlo con alcuni campioni rilevati sui luoghi dove si verificarono quegli efferati delitti». C’è infatti un dna sconosciuto isolato in un pantalone delle vittime di Scopeti. Anche se quel profilo era già stato confrontato con quello prelevato a un altro membro della famiglia Vinci, il figlio di Salvatore.
Deve essere invece consegnato un altro esame compiuto parallelamente a questo: quello sulla paternità di Natalino Mele, il bambino che nel delitto del 1968 a Signa, venne risparmiato e probabilmente anche messo in salvo dal killer di sua madre, Barbara Locci, e del suo amante Antonio Lo Bianco.
Tornando a Francesco Vinci, la sua riesumazione era stata ordinata nel settembre scorso dalle pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti per chiarire se si trattasse veramente del corpo dell’uomo trovato ucciso, incaprettato e carbonizzato nel bagagliaio di un’auto nell’agosto 1993, nella campagna nei pressi di Pisa.
I resti sono stati poi esaminati all’istituto di medicina legale di Firenze, dagli esperti incaricati dalla procura, il medico legale Martina Focardi e il genetista Ugo Ricci, e da quelli nominati dalla vedova di Vinci, il genetista forense Eugenio D’Orio e il medico legale Aldo Allegrini. Insieme al fratello Salvatore, Francesco fu al centro della «pista sarda». Stefano Mele, marito della donna uccisa a Signa, puntò il dito sui due fratelli, amanti della moglie, ma alla fine fu condannato non solo per il duplice omicidio ma anche per aver calunniato i Vinci.
L’arma non fu ritrovata. Ma fu utilizzata nel 1974 in occasione dell’omicidio di Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini a Borgo San Lorenzo. Nel 1982 fu arrestato, sospettato di essere il mostro. Ma mentre era in carcere, nel 1983 il killer delle coppiette tornò a uccidere, sparando contro due tedeschi a Giogoli. E per lui cadde ogni accusa. Dieci anni più tardi il suo cadavere, carbonizzato, fu ritrovato insieme a quello del suo servo pastore Angelo Vargiu nel bagaglio di un’auto nelle campagne di Chianni nel pisano.