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Natalino e l’orrore a 6 anni. "Io, nell’auto del massacro sogno ancora mia madre morta"

Intervista a Natalino Mele. Dormiva nell'auto dove sua madre fu ucciso con l'amante. L'assassino lo risparmiò

Natalino Mele in una foto del 1968

Firenze, 20 agosto 2018 - Si chiama Natale, perché è nato il 25 dicembre. Il 21 agosto del 1968 non aveva ancora compiuto sette anni. Per questo, per tutti è Natalino, il bambino con i soli calzini che fece quasi tre chilometri a piedi, al buio, fino alla prima abitazione per chiedere aiuto.  «Aprimi la porta perché ho sonno e ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina», disse al muratore svegliato da quella scampanellata nel cuore della notte. 

Quella sera era stato al cinema, con la mamma, Barbara Locci, e lo «zio» – così lo chiamava –, Antonio Lo Bianco. E dopo il film, Nuda per un pugno di eroi, lui dormiva, sul sedile posteriore della Giulietta bianca, parcheggiata vicino al cimitero di Castelletti. L’assassino sembrava sapere della sua presenza in quella macchina: si avvicinò dal finestrino posteriore sinistro e fece fuoco all’indirizzo della coppia, che stava amoreggiando al posto del passeggero. A Natalino, tante volte hanno chiesto di ricordare.  «Mi svegliai per dei rumori forti, poi vedendo che mia madre era con la testa così... la chiamavo, non mi rispondeva. Poi ho visto il sangue e ho cominciato a piangere. Uscii dalla macchina e in lontananza vidi una lucina di una casa. Mi ritrovai davanti a questa casa qui e chiesi aiuto, cominciai dire che avevano ucciso mia madre. Le uniche parole che dicevo erano: ‘Hanno ucciso mia madre’. Nel senso: ‘Tenetemi con voi non mi abbandonate’, una cosa del genere, capito?»

Ha visto in faccia chi ha ucciso sua madre? «No no, io dormivo. E sa quante volte ci ho pensato?».

Suo padre per quel delitto si è fatto 14 anni di carcere. Lo avrebbe riconosciuto se fosse stato suo padre? «Sì, sicuramente».

Eppure suo padre aveva confessato. «Beh, forse gliel’hanno fatto anche dire... vai a sapere».

Sua madre fu uccisa, suo padre condannato e la sua vita cambiò. «Sì, mia madre fu uccisa, mio padre fu arrestato e io mi ritrovai in questo collegio, all’orfanotrofio».

L’hanno interrogata tante volte, anche negli anni successivi. «Sì, anche 15 ore di interrogatorio, carabinieri, marescialli, non so chi erano. Mi bruciavano così per dire (mima un accendino vicino al palmo della mano, ndr) e: ‘Parla, parla, sennò ti si brucia’. Io piangevo… che facevo? ‘Non so nulla’, piangevo. ‘Non so nulla’ e piangevo».

Il rapporto, nella memoria, con sua madre? «Poche cose, ero piccino. Mi ricordo che mia mamma aveva una pezzuola in testa. So che mi portava se andava a prendere il panino. C’erano gli alimentari di fronte a casa. Ho sempre il solito incubo che mi sveglio e vedo mia madre morta. Quello è un incubo che ho avuto per anni quasi tutte le notti».

Ma pensa che sia stato suo padre a uccidere sua madre?  «Non penso che ne sarebbe stato capace. A quanto mi diceva mia zia (con cui Natale è cresciuto, ndr) le voleva tanto bene, l’amava. Però la mia sensazione, da come l’ho conosciuto… Era così mite, tranquillo».

Ricorda di aver mai visto una pistola in casa sua? O suo padre maneggiare una pistola? «No, no».

Quella famosa Beretta? «No, no».

Quindi Pacciani, Vanni, Lotti? «Mai visti».

È mai stato a trovare sua madre? «Lo sa che non ci sono mai stato? Ci dovrei andare... prima di morire lo farò». Stefano Brogioni