Arezzo, 8 gennaio 2023 - "Ha iniziato ad accatastare le nostre auto una sull’altra con la ruspa, sentivamo il rumore del metallo mentre cenavamo: quando gli abbiamo gridato di fermarsi si è invece accanito sulla finestra della stanza dove ci eravamo affacciati. Abbiamo tentato di scappare ma con la benna ha danneggiato anche la porta d’ingresso al piano terra, impedendoci la fuga. Tremava tutto, avevamo paura, a quel punto mio padre ha iniziato a dirgli di fermarsi e poi ha iniziato a sparare: era l’unico modo per fermarlo". Mattia Mugnai ha 26 anni ed è il figlio più grande di Sandro, l’uomo arrestato ad Arezzo con l’accusa di omicidio volontario. Il giorno dopo la Befana di sangue a San Polo è lui che racconta i minuti di paura prima che il padre imbracciasse la carabina da caccia al cinghiale e facesse fuoco su Gezim Dodoli. L’operaio albanese di 58 anni che viveva in un appartamento nella stessa casa colonica in mezzo ai boschi non ha avuto scampo.
Domani mattina si svolgerà l’interrogatorio di garanzia per Mugnai, il fabbro di 53 anni che ha freddato il vicino con almeno cinque colpi. L’omicida si troverà di fronte al giudice Giulia Soldini mentre l’accusa sarà sostenuta dal pubblico ministero Laura Taddei. Per ora il reato contestato è quello di omicidio volontario ma gli avvocati Marzia Lelli e Piero Melani Graverini che lo difendono hanno già annunciato che punteranno sulla legittima difesa. I colpi inferti dalla ruspa al tetto della casa hanno infatti reso inagibile l’abitazione, che sarebbe potuta crollare da un momento all’altro uccidendo chi era all’interno. I compaesani, in una delle terre più colpite dalle stragi naziste della Seconda guerra mondiale, sono tutti dalla parte di Mugnai: "Sandro è un brav’uomo – dice uno di loro che vuol rimanere anonimo – sempre pronto ad aiutare tutti. Ha visto il pericolo in faccia e ha reagito come ognuno di noi avrebbe fatto". "Posso testimoniare – aggiunge don Natale Gabrielli, il parroco della chiesa non distante dal luogo della tragedia – che le famiglie si frequentavano. Sono andato più volte a mangiare da entrambe, i bambini, ora uomini, servivano messa con me e stavano in parrocchia. Poi la famiglia Dodoli si era trasferita a Milano ma, da qualche tempo, Gezim era tornato da solo. Cosa sia successo non lo so: Sandro forse voleva difendere la propria famiglia. Il tetto stava crollando sotto i colpi della benna dell’escavatore, sarebbero morti tutti schiacciati". "Sandro non mi ha mai parlato di lui né mi ha accennato ad eventuali divergenze - spiega l’amico di sempre Alessandro Mori - sono cose che nessuno può sapere. Quello che so è che conosco Sandro da una vita, siamo cresciuti insieme ed è una bravissima persona, sempre pronta ad aiutare gli altri. Se è arrivato a fare un gesto del genere, il motivo c’è. Per forza".
Solidali per l’accaduto anche i colleghi della Racchetta, il gruppo antincendi di cui Mugnai fa parte come volontario. L’uomo ora si trova nel carcere di Arezzo in attesa dell’interrogatorio che domani dovrà ricostruire le fasi concitate che ha portato alla morte di Dodoli giovedì sera. I carabinieri, dopo aver svolto sul posto i rilievi scientifici, hanno prelevato i bossoli dallo spiazzo davanti all’abitazione e sequestrato il tutto. I militari stanno ora anche ricostruendo le ultime ore di Gezim Dodoli, per cercare di capire cosa può aver portato l’albanese a compiere il gesto che gli è costato la vita.
In un primo colloquio con i suoi legali Mugnai ha riferito che i dissidi erano in gran parte legati ai tubi di scarico delle fogne: la vittima lamentava il fatto che provocassero cattivi odori. Una situazione andata avanti per anni tra piccoli screzi e che poi sarebbe sfociata nel clamoroso episodio di violenza alla vigilia dell’Epifania.