DAVID ALLEGRANTI
Cronaca
Editoriale

Il diritto dei detenuti di avere giustizia in cella

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 28 aprile 2024 – Le cronache sui presunti pestaggi all’Istituto Penale Minorile Beccaria – assolutamente da leggere quelle, dolorose ma necessarie, di Quotidiano Nazionale degli ultimi giorni – descrivono un quadro desolante. Che accada in un carcere che porta il nome di Cesare Beccaria contribuisce ad aumentare lo sconcerto: "Non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che, in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa" , ha scritto l’autore del trattato Dei delitti e delle pene .

Nell’istituto che porta il suo nome, da troppo tempo i detenuti sono diventati oggetti. Come i giovani che, secondo l’accusa, sarebbero stati pestati da alcuni agenti di polizia penitenziaria. Tredici sono finiti in manette (e sono tutti, innocenti fino a prova contraria). Le indagini si stanno concentrando anche sulle eventuali omissioni di alcune figure apicali, personale sanitario compreso. Non sarebbe peraltro, purtroppo, la prima volta, ha osservato, parlando al podcast delle Pecore Elettriche , Sofia Ciuffoletti, filosofa del diritto.

Da quando il reato di tortura è stato istituito (tardi) in Italia, nel 2017, "uno dei reati satellite è quello di omissione di atti d’ufficio di chi aveva l’obbligo di referto, tipicamente dell’area sanitaria. E sì, stupisce molto che ciò accada, anche perché l’area sanitaria di un istituto penitenziario minorile o per adulti è completamente autonoma, grazie a una riforma che ha portato la medicina penitenziaria a diventare medicina tout court, passando dal ministero della Giustizia al ministero della Sanità. Come fa un sanitario a coprire dei fatti quando la sua dimensione di responsabilità penale è in gioco in prima linea e, d’altra parte, non c’è nessun obbligo di fedeltà a un’amministrazione che per l’appunto non è la propria?", si chiede Ciuffoletti. "Naturalmente, potremmo discuterne anche se fossa la propria… Qui il puzzo del penitenziario e i meccanismi deleteri delle istituzioni totali ci descrivono come si alimenta l’istituzione totale, soprattutto negli eventi critici. Ed è su questo tipo di modalità, di mentalità e, per l’appunto, di omissione che dovremmo lavorare per la costruzione di una cultura comune che appartenga sia agli agenti di polizia penitenziaria – la maggioranza dei quali è estranea a questi atti e penso ne sia inorridita - ma anche, a maggior ragione, a chi ha l’obbligo giuridico-penale di tutelare la salute".

Nel carcere di Ranza, ha ricordato Ciuffoletti, "è stato condannato con rito abbreviato per omissione di atti d’ufficio un medico del penitenziario, ma allo stesso tempo un altro medico, una dottoressa che era stata più volte intimidita, ha denunciato i fatti insieme agli stessi detenuti che in parte avevano subito le violenze". È il segno che insieme alle violenze, alle omissioni, si può costruire anche una cultura di civiltà condivisa, che permetta all’uomo di restare tale e non di essere trasformato in cosa. Che il governo e la maggioranza abbiamo fatto dietrofront rispetto all’idea di modificare il reato di tortura, come ha detto di recente il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, è una buona notizia, perché se sappiamo qualcosa di quello che succede nelle carceri italiane è proprio grazie alla possibilità data ai detenuti di ottenere giustizia.

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