Prato, 31 gennaio 2023 - Li avevano presi a bastonate, colpiti con calci, pugni e mazze da baseball. Ne avevano mandati quattro in ospedale. La brutale aggressione fu portata a termine da un commando arrivato a bordo di un furgone che picchiò a sangue gli operai di un pronto moda a gestione orientale, la "Dreamland" di Prato, che stavano manifestando, appoggiati dal sindacato dei Sì Cobas, contro le condizioni disumane e di sfruttamento a cui erano sottoposti. "O lavori alle mie condizioni, o ti dimetti", gli dicevano.
Era l’11 ottobre 2021. A un anno e mezzo di distanza, i due titolari cinesi della "Dreamland" e i due tuttofare, fra cui uno faceva anche da prestanome, sono stati arrestati con l’accusa di sfruttamento del lavoro. Le indagini hanno accertato che gli operai erano costretti a lavorare 7 giorni su 7, 13 ore al giorno, con brevissime pause per mangiare senza allontanarsi dalla postazione. Il tutto per una retribuzione che andava dai 7 ai 13 centesimi per capo lavorato, o per un compenso forfettario di 3 euro l’ora. La paga era ulteriormente ridotta ai clandestini. Il tutto senza che fossero rispettate le minime norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e senza aver seguito nessun corso di formazione. Gli investigatori hanno accertato che molti attestati sulla sicurezza erano falsi. "Un fenomeno preoccupante, reso possibile dalla collaborazione di professionisti conniventi e sul quale sono in corso indagini", dicono in Procura a Prato. Sono circa 20 i lavoratori sfruttati fotografati durante l’inchiesta, cinesi e pachistani, di cui gli indagati hanno approfittato facendo leva sul loro stato di bisogno.
"L’inchiesta ha svelato chi fossero i mandanti e alcuni esecutori materiali dell’aggressione, restituendo la misura della spregiudicatezza con la quale gli indagati hanno condotto l’iniziativa imprenditoriale, con il solo scopo di massimizzare i profitti", spiega il procuratore Giuseppe Nicolosi.