Firenze, 17 novembre 2015 - NON È un concorso a premi, una sfilata di reperti vintage o di arte popolare. Non è un qualcosa contro qualcuno, o contro qualcosa. E’ una «cosa» per noi. Per quelli che non hanno vergogna delle proprie radici, che pensano ci possa essere un «domani» solo se ci sono stati un «oggi» e un «ieri», per quelli che non intendono la parola accoglienza come autodissolvenza. Per quelli che quando invitano qualcuno a casa propria non staccano i quadri dai muri pensando che magari potrebbero urtare la suscettibilità dell’ospite.
E’ per tutti questi che «La Nazione» lancia un’idea, nuova e antica insieme: un bel presepe. Facciamolo nelle scuole dove si insegna l’educazione, la tolleranza, il rispetto. Molti istituti già lo fanno, stavolta vorremmo lo facessero davvero tutti. Perché il presepe è il simbolo a cui tutti almeno una volta abbiamo voluto bene, e ancora ognuno di noi ha in testa l’odore di muschio appena raccolto, e la tristezza del giorno in cui - passata la Befana - dovevamo rincartare quelle statuine e riporle in attesa dell’anno successivo. Perché il presepe è stata la prima esemplificazione vivente, plastica, del ponte tra Oriente e Occidente, il primo esempio concreto di integrazione. «Venivano da Oriente», dice il vangelo di Matteo a proposito dei Magi. Che arrivarono a Betlemme portando doni, senza chiedere permesso ma senza domandare che gli altri si mettessero al loro servizio. L’idea che lanciamo a tutte le scuole è in parte una provocazione in parte una proposta culturale, come crediamo debbano fare i giornali. Per scuole come quella fiorentina che voleva vietare la visita a una mostra d’arte sacra sarà una provocazione, che ci auguriamo positiva, per le altre fungerà da proposta culturale: di discussione interna, di riflessione, di incontro. Per tutti un’occasione da non perdere.