
Pecore elettriche
Firenze, 11 giugno 2023 – E due. È la seconda incriminazione per Donald Trump in poche settimane. Venerdì scorso il procuratore speciale Jack Smith ha messo sotto accusa l’ex presidente degli Stati Uniti con 37 capi d’accusa (l’indagine è quella sui documenti riservati trovati nella sua villa a Mar-a-Lago, dove Trump li aveva portati come se fossero una collezione di cravatte).
Per non parlare della recente condanna a New York per abuso sessuale (non per stupro, la differenza è legalmente sensibile). Eppure niente cambierà: la vittoria alle primarie repubblicane del 2024 è certa. L’elettorato del Gop non sembra muoversi di un centimetro. Non lo emoziona neanche la discesa in campo di Ron DeSantis, governatore della Florida, repubblicano con idee trumpiste, ma senza lo stile trumpiano. Secondo un recente sondaggio di Cbs News, il 58 per cento degli elettori repubblicani voterebbe l’ex presidente alle primarie contro De Santis fermo al 22 per cento. Trump ha perso parecchie sfide in questi anni.
Le elezioni di MidTerm nel 2018, le elezioni presidenziali nel 2020. Ed è l’unico presidente in ottant’anni di storia del sondaggio Gallup di approvazione sull’operato presidenziale a non aver mai raggiunto il 50 per cento. Eppure vincerà lui. Perché DeSantis, ha notato Janan Ganesh sul Financial Times, "non importa quando sia sincero ed effettivamente populista. Si presenta come una creatura dell’establishment". Ha insomma qualcosa a che fare con la Ivy League, e non ha scandali – per il momento – da offrire all’elettorato. Né finanziari né sessuali. C’è una differenza fondamentale fra DeSantis e Trump. Il secondo sembra volere sovvertire le istituzioni, inseguendo il canone tipico della mentalità populista. L’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 con un Trump ben felice del "lavoro" – si fa per dire – dei suoi sostenitori, che oggi difende strenuamente, ne è la dimostrazione. Il populismo ha sempre una componente di sovversione; vuole cambiare connotati alle istituzioni. Per questo c’è differenza fra chi ragiona come l’uomo comune, e ne rappresenta i problemi, come DeSantis, e chi vuole in nome del popolo scardinare le regole del gioco democratico, come Trump. Che in questi anni è riuscito persino a convincere chi, da destra, lo detestava. Il caso di J.D. Vance resta tutt’ora interessante. Vance è l’autore di un gran saggio, "Elegia americana", uscito negli Stati Uniti nel 2016 e in Italia pubblicato da Garzanti; aiuta a capire, attraverso il racconto della sua storia e della storia della sua famiglia, le ragioni del successo di Trump. Vance - la voce della Rust Belt, lo aveva definito il Washington Post - un tempo attaccava l’ex presidente degli Stati Uniti definendolo "riprovevole", salvo poi cambiare radicalmente opinione. Il miliardario americano è dunque riuscito a convincere anche chi, da destra, appunto, non ne voleva proprio sentir parlare. Non saranno De Santis, Mike Pence o Nikky Haley a impensierirlo. C’è però un problema: la vittoria alle primarie basterà a fargli vincere le Presidenziali? Come spiega anche qualche nota vicenda italiana, un conto è battere gli avversari in una competizione di partito, per quanto allargata, un conto è vincere le elezioni.