ILARIA ULIVELLI
Cronaca

Pronto soccorso di frontiera, medici in prestito da Careggi. E timore di perdere infermieri

All’ultima riunione in Regione è emersa la preoccupazione che il personale faccia un passo indietro davanti alla proposta di lavorare in posti a rischio

L'ospedale di Careggi

L'ospedale di Careggi

Firenze, 5 marzo 2025 – “Finirà che non troveremo più personale disposto ad andare nei pronto soccorso di frontiera”. Una frase preoccupata – ma che non sorprende – emersa più volte nell’ultima riunione in Regione sul caso delle aggressioni al personale sanitario. I timori, in particolare, si concentrano sui reparti di emergenza-urgenza degli ospedali dove si verificano con maggior frequenza fenomeni di violenza verbali e fisici: Prato, Santa Maria Nuova a Firenze e Cisanello a Pisa.

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Situazioni diverse in contesti differenti che ugualmente patiscono del progressivo incremento di disagio psichico, della malamovida che sforna uno stuolo di infradiciati dall’alcol e dalle sostanze stupefacenti – specialmente nelle notti prossime al fine settimana – e dell’imbarbarimento dei rapporti umani che si manifesta con esplosioni di rabbia, insofferenza e intolleranza.

Oltre alle misure di prevenzione e controllo intraprese e in via di potenziamento, si sta intervenendo con iniezioni di personale, la cui carenza potrebbe incidere sui tempi d’attesa rivelatisi un potenziale innesco di contenziosi.

In attesa di assunzioni al pronto soccorso del Santo Stefano di Prato arrivano in “prestito“ medici da Careggi con turni corposi per consentire anche di far fare riposi e ferie al personale in organico.

L’organizzazione guarda già verso i lunghi ponti primaverili con la Pasqua, il 25 Aprile e il Primo Maggio che compongono un lungo filotto di criticità, già che nell’arco di tutto il periodo, dal 18 aprile al 2 maggio, i medici di famiglia non ci saranno per ben nove giorni.

Sebbene ora si parli di affollamento, i problemi del pronto soccorso partono da lontano. Nel 2019 nei reparti di emergenza-urgenza toscani si registrò il record dei 1.537.453 accessi. Da quell’anno sembra passato un secolo. Quei numeri non sono mai più stati raggiunti, ma i problemi sono cresciuti.

La lezione impartita dal virus non è stata messa a frutto: dal crollo degli accessi negli anni dell’emergenza pandemica, quando si registrò una diminuzione drastica, di oltre il 50% (1.006.187 pazienti nel 2020), la risalita è stata progressiva, le toppe messe al sistema insufficienti. Le fughe di massa del personale sanitario erano già cominciate e la pandemia mostrò con chiarezza la necessità di rifondare la medicina di base e territoriale. Ebbene, oggi gli accessi al pronto soccorso, complessivamente, restano più bassi rispetto al 2019, ma nel frattempo si è perso il 25% del personale in pianta organica.

Dei circa 400 medici che ci lavoravano a tempo indeterminato, ne sono rimasti poco più di 300. Le carenze vengono coperte con ore di straordinario, come previsto dalla delibera regionale del maggio 2023, con specializzandi assunti con contratti libero professionali a tempo determinato o sostituzioni di medici da altri reparti. Ma la carenza di personale è solamente una delle criticità.

A far saltare il banco, tuttora, sono le urgenze minori, persone che dovrebbero trovare risposte altrove. I Pir, i punti di intervento rapido partiti in via sperimentale proprio per contribuire alla soluzione, anche se il problema non sono le non urgenze. Il problema dei pazienti cronici e anziani fragili è prioritario.

L’attivazione progressiva di nuove case della salute e di ospedali di comunità dovrebbero determinare la svolta nella riforma della medicina territoriale, una scommessa fondamentale. Ma il timore è che anche il 2025 possa essere un anno di transizione e di sofferenza.