Firenze, 4 gennaio 2023 - Un fenomeno dolorosamente noto. Che dopo i due anni di assedio del Covid è esploso con percentuali impressionanti. E’ in aumento vertiginoso il numero dei decessi nelle stanze dei pronto soccorso degli ospedali dell’Asl Toscana Centro (prima cioè che il paziente trovi un posto letto). Nel 2019 erano stati 507, nell’anno che si è appena concluso sono stati 697. Con un incremento del 27,2%. L’analisi dei dati forniti dal direttore del dipartimento di Emergenza e area critica dell’Asl Toscana centro, Simone Magazzini, mostra una distribuzione omogenea nei vari ospedali in rapporto all’affluenza e una concentrazione nelle fasce di età dei pazienti più anziani, in particolare ultraottantenni.
Ma perché succede? "Purtroppo è una cosa che denunciamo da anni – dice il presidente dell’Ordine dei medici di Firenze Pietro Dattolo – C’è un numero elevatissimo di pazienti cronici gravi e di malati oncologici terminali che viene portato in ospedale dalle famiglie che non sanno come gestirli a casa". Il problema, dunque, ancora una volta, è la mancanza di risposte da parte della medicina territoriale. "Morire in pronto soccorso è disumano - dice Dattolo - ma la verità è che mancano le strutture, mancano gli ospedali per le cure intermedie, mancano i posti negli hospice dove per entrare c’è una burocrazia che prevede passaggi complessi e nonostante i piccoli passi avanti l’assistenza domiciliare è ancora molto carente e spesso appannaggio di associazioni non tutte egualmente efficienti ed efficaci".
Dunque, al pronto soccorso possono morire pazienti che sono arrivati in condizioni drammatiche e che non riescono a essere salvati, ma una grande parte, in alcuni casi addirittura la maggioranza, sono malati alla fine del loro percorso terreno. Una morte pubblica, lontana dai parenti è una morte disumana. "Almeno quindici anni fa mi ero occupato di questo problema con l’intenzione di creare reparti per la buona morte, poi tutto è rimasto in sospeso", spiega Marcello Pastorelli, presidente toscano di Simeu, la Società italiana dei medici di emergenza urgenza.
"Il momento in cui si è chiusa la forbice è stato il 1965: fino a quel momento si moriva a casa. Poi c’è stata una parabola a salire: è più comodo far morire i pazienti in ospedale perché è più facile anche da un punto di vista burocratico e amministrativo. Per esempio per l’accertamento di morte e la relativa certificazione". Si vuole sperare che non sia solo un problema di certificati. "Prima si moriva in ospedale, ora si muore in pronto soccorso perché per problemi organizzativi i pazienti stazionano di più in quelle stanze", incalza Pastorelli. E anche per la legge della foresta. I posti letto ad alta intensità di cure di cui avrebbero bisogno quei pazienti, se si liberano vanno a chi ha più possibilità di sopravvivere. E’ dura da buttare giù, ma è così.
"Il pronto soccorso è il luogo più inadeguato per il momento della morte che avviene davanti a trenta persone – dice il presidente Simeu – Ma se le cose non cambieranno i numeri saliranno ancora creando ulteriori problemi ai già ingolfati pronto soccorso". Pastorelli spiega che l’incremento è dovuto anche "alla diminuzione dei controlli delle malattie croniche durante il Covi e oggi ci troviamo a gestire l’onda lunga di quegli effetti". Un’accelerazione dei decessi. Il segretario toscano del sindacato dei medici ospedalieri Anaaao, Gerardo Anastasio sostiene che nel nostro Paese manchi "una cultura per accettare il fine vita" e le strutture adeguate sul territorio. "Un problema non solo sanitario ma anche etico".
Manca un po’ tutto, non solo le strutture ma anche i medici palliativisti, "metà dei posti a disposizione nella specializzazione sono andati deserti". "Si deve poter morire in maniera decorosa: in tutt’Europa ci sono luoghi per farlo, da noi no – spiega Anastasio – Altrimenti a casa con il supporto dell’assistenza domiciliare. Invece tutto questo si scarica sugli ospedali già in difficoltà".