
Rossano Rossi durante i funerali di Paolo a Vicenza
PRATO
" In rete sto imbattendomi in momenti della vita di mio fratello che non conoscevo. Ho appena trovato un filmato di lui, con Venditti, che rievoca quando dopo il Mondiale, Paolo e Tardelli, giravano per Roma. In un piazzale vedono dei tassisti che ingannano il tempo giocando a pallone. Paolo e Marco scendono e si mettono a tirar calci con loro. Immaginate, lo stupore dei tassisti“. Per Rossano Rossi, fratello di Paolo, maggiore di due anni e mezzo, sono giorni del ricordo. E della solitudine. “Mi mancano le sue telefonate. Non passava giorno che non ci sentissimo, dall’ospedale. Con il covid sono stato autorizzato poche volte a vederlo, ma al telefono non mancavamo mai”.
Il telefono è stato per tutta la vita il collante fra i fratelli, che si assomigliavano come gocce d’acqua fisicamente (“tanti ci prendevano per gemelli”), ma non nel carattere. Mite e buono per entrambi, ma solare e sorridente Paolo, più malinconico Rossano. Estroverso, l’uno, cortese ma apparentemente chiuso, l’altro.
“La prima volta che da adolescente stavo per uscire da solo, la mamma mi disse: porta anche Paolino. Ero perplesso, era ancora bambino. Lo portai con me e non ci siamo più staccati, mai senza sentirci, senza messaggi. Uniti, come quel giorno“.
Rossano si abbandona al ricordo delle tre vite di Paolo quella da bambini; quella con lui, pur bravo, rinunciava al calcio mentre il fratello toccava le vette del mondo. E in ultimo, i mesi della sofferenza.
“Vicino a casa, a Santa Lucia c’era un campino, senza porte, senza righe. Giocavano da mattina a sera, con gli amici. Giocavamo e sognavamo di andare in serie A, in Nazionale. A quei tempi, tutti sognavano. Dal dopoguerra era rimasta la voglia di raggiungere qualcosa, ognuno aveva un sogno nel cassetto. Il nostro, era il pallone“.
“Poi, passammo al calcio vero, coi tesseramenti. Lui, ala destra, io centravanti. Paolo scartava tutti e, davanti alla porta me la passava e io segnavo“.
Sarà per tutti quei gol che Rossano diventa famoso fra gli osservatori. E arriva sui taccuini della Juventus. “Giocavamo nella Cattolica Virtus, vista la differenza di età non sempre nella stessa squadra. La Juve prese me e andai a Torino, nelle giovanili. Una norma impediva ai ragazzi sotto i 15 anni di uscire dalla regione e Paolo aspettò due anni alla Cattolica. Poi, anche lui arrivò alla Juve“.
E Rossano? “A Torino giocavo nella Primavera e studiavo. Ma bocciai e mio padre non sentì storie. Voleva il diploma e mi riportò a Prato“. Niente più pallone? “Paolo tentò di rilanciarmi. Quando era a Perugia parlò coi dirigenti. Poi, sembrò che il Modena potesse tesserarmi. Intanto, giocavo nei tornei amatoriali, senza impegno. E soprattutto col diploma di ragioniere mio padre mi portò nell’azienda dove lavorava, la Rexlane. Mi assunsero. Staccai col pallone, col signor Rolando, con Luca Giovannelli, mi trovai a casa. Ho lavorato sempre per loro“.
Da giocatore, Rossano Rossi visse una giornata eroica per il calcio pratese. 25 marzo 1973, il Prato che non aveva un presidente ma una “commissione di reggenza“ riceve la Lucchese. Titolari ammutinati causa stipendi non pagati. “Vanno in campo Giorgi e Turella dei titolari, poi noi ragazzi della Berretti. Finisce 0-0, la Lucchese, mancherà la serie B per un punto. usciamo col pubblico in lacrime“.
In valore assoluto, nulla di paragonabile a ciò che sarebbe successo a Paolo, ma l’orgoglio di Rossano (e la memoria della città) restano. “E’ stato il telefono a tenerci in contatto da ogni parte del mondo - così Rossano rievoca gli anni del fratello celebrità - Le chiamate che ricordo più volentieri arrivavano dall’Argentina, nel ’78, lui e Cabrini a sorpresa. Chiamava alle ore più impensate il babbo e la mamma si mettevano la cornetta fra l’orecchio dell’una e dell’altro, per ascoltarlo insieme. Che gioie“.
Rossano continua a scandagliare la rete. “Credevo di conoscere tutto, di Paolo. Ma dopo la morte tanti hanno condiviso ricordi, spunti, foto, cimeli.“. Paolo amico degli italiani. “E’ stato un grande italiano, non solo perché le imprese più belle le ha fatte con la Nazionale. Ma perché in quegli anni così difficili per il Paese ha reso a tutti la gioia di essere e sentirsi italiani. Hanno risollevato la testa tutti gli italiani nel mondo. Sapere quanto lo amano è la consolazione più bella. MI inviano messaggi, mi scrivono per dirmelo“.
Paolo ha lasciato a Rossano assieme ai ricordi, le nipotine. Maria Vittoria e Sofia Elena. “Sono scosse, sentono la mancanza del babbo, soprattutto la maggiore, mi dice Federica. Paolo ha una famiglia bellissima“.
Funerale e camera ardente a Vicenza, passaggio dallo stadio di Perugia. E Prato? “Arrivò a Vicenza a nemmeno vent’anni, lì lo hanno avvolto nel calore, lì ha conosciuto al prima moglie Simonetta, lì è nato suo figlio Alessandro, lì si è rivelato al calcio e ha avviato a lavorare fuori dal calcio. Prato comunque l’ha sempre portata nel cuore, era felice quando ci tornava “.
Prato, sull’onda dell’emozione, vuol dedicargli un museo, alcune mostre. E’ stata Federica a manifestare la volontà al sindaco. “Un museo permanente sarebbe il sogno. Per me, ma soprattutto per Paolo. Ne parlò col sindaco, assieme a Federica. Sono pronto a dare una mano, se la chiederanno. Sarebbe bellissimo se , nella città natale restasse di lui un ricordo indelebile“.
E a Rossano , cosa resta nel cuore del grande affetto che il mondo ha appena mostrato per Paolo? “Le parole di Cabrini. Mi resteranno per sempre scolpite le parole di Cabrini“.
Piero Ceccatelli