Firenze, 25 novembre 2024 – Problemi economici, disuguaglianze sociali, lunghi tempi d’attesa e difficoltà di accesso al sistema sono tra i motivi principali per cui si stima che circa 220mila cittadini toscani nel 2023 abbiano rinunciato a curarsi. Dati Istat alla mano, si tratta del 6% dell’intera popolazione, una percentuale inferiore rispetto alla media italiana del 7,6% che nel nostro Paese equivale a 4 milioni e mezzo di persone. Comunque la si veda, si tratta di un fallimento del sistema sanitario universalistico.
I problemi, inutile girarci intorno, ci sono e sono molteplici. Ne abbiamo parlato con Andrea Vannucci, medico e docente di Programmazione, organizzazione e gestione delle aziende sanitarie al dipartimento di Ingegneria dell’informazione e scienze matematiche dell’Università di Siena. Prima di addentrarci nell’analisi, Vannucci tiene a sottolineare che “noi tendiamo a fare due sbagli: il primo è pensare che i problemi della sanità nascano e si risolvano all’interno del sistema sanitario – spiega – il secondo è chiedere al sistema sanitario di risolvere problemi che non è capace di gestire poiché sono generati e risolvibili all’esterno del sistema sanitario”.
Vale a dire che ci sono problemi e disuguaglianze sociali che finiscono per impattare sul sistema sanitario pubblico che necessitano di importanti interventi di welfare. Un paio di esempi: se i pronto soccorso vengono devastati da persone in stato alterato, bisognerebbe cominciare a chiedersi perché questo succede e prevenire. Lo stesso ragionamento vale per l’affollamento nei pronto soccorso di persone che dovrebbero essere curate altrove ma che, non trovando risposta, si rivolgono all’unico presidio pubblico di salute immediatamente e facilmente raggiungibile.
“I cittadini meno istruiti (che spesso sono quelli con più difficoltà economiche) hanno meno capacità d’accesso alle cure, peggiori stili di vita e se devono seguire terapie per lunghi periodi manifestano grandi problemi di aderenza, abbandonano facilmente”, spiega Vannucci.
Per essere chiari “se lo stato socioeconomico della popolazione influenza la rinuncia alle cure e le nostre prospettive economiche sono tendenzialmente negative il fenomeno è destinato a peggiorare”.
In campo sanitario oggi dobbiamo confrontarci con tre elementi strettamente connessi: invecchiamento della popolazione, conseguente richiesta di salute in aumento e innovazione tecnologica: in particolare quella digitale con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. I primi due fattori spingono verso un aggravamento dei problemi, mentre il terzo sarebbe di grande aiuto ma è condizionato da un’alfabetizzazione digitale rapida di tutti: curanti e curati. “E tutto è complicato dagli effetti sulla salute (e sulle malattie) del cambiamento climatico e dell’inquinamento industriale”, spiega Vannucci.
Cosa fare? Se fissiamo l’attenzione sulla discrepanza tra domanda e offerta sanitaria limitiamo il nostro ragionamento alle prestazioni mentre abbiamo bisogno di introdurre solide e pronte azioni a largo raggio e preventive. “Finalmente si comincia a parlare dell’approccio One Health”, un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse, riconoscendo che la salute umana, animale e dell’ecosistema sono legate indissolubilmente.
“Se l’attenzione generale si concentra sulle prestazioni sanitarie da erogare che non bastano mai – conclude Vannucci – si trascurano gli altri interventi che in termini di salute generano molto valore e indirettamente ridurrebbero la domanda di prestazioni”. La prevenzione prima di tutto. Ma servono investimenti importanti. Che faranno guadagnare in salute e risparmiare in sanità.