Firenze, 17 gennaio 2024 - La fede, le tradizioni e l’amore per gli animali si incontrano ogni anno il 17 gennaio, giorno in cui si celebra Sant’Antonio Abate, secondo la tradizione cristiana primo degli abati e fondatore del monachesimo cristiano. Sempre contornato da animali, eremita nel deserto e in preghiera giorno e notte, ogni anno il Santo, noto per essere il protettore degli animali, viene celebrato con festività legate al mondo contadino, dalle messe liturgiche ai falò. Chi è Sant’Antonio Abate e perché si festeggia Antonio era nato da una agiata famiglia cristiana nel 251 in Egitto, all'epoca una delle nazioni più ricche e potenti del mondo. Rimasto orfano all'età di 19 anni, fulminato dal precetto evangelico "vendi tutto e dona ai poveri", si liberò di tutti i beni e andò a vivere nella solitudine del deserto della Tebaide pregando e lavorando. Fu qui che con preghiere, digiuni e privazioni superò prove diaboliche che lo tormentavano con terrificanti visioni e frastuoni, le "tentazioni" descritte in tanti capolavori dell'arte e della letteratura. Molti altri vollero seguire il suo esempio e si venne a formare una numerosa comunità di eremiti: per questo è chiamato "il padre del monachesimo". Dedicò la sua esistenza alla preghiera e all’aiuto verso i bisognosi. Affidata la sorella ad una congregazione religiosa, si rifugiò in un fortino nel deserto e da eremita pregava giorno e notte e si teneva compagnia con animali e uccelli. È così che visse oltre vent’anni. Per questa ragione, molti lo chiamano Sant’Antonio del Deserto. Sant’Antonio oltre che Anacoreta – così venivano chiamati gli eremiti al tempo – fu anche taumaturgo: ben presto, infatti, molti uomini accorsero al suo fortino per chiedere lui il miracolo della guarigione da malattie e possessioni demoniache. La sua figura fu così importante che Sant’Antonio divenne il riferimento spirituale per molte comunità di eremiti formatesi nel deserto. Perché è il patrono degli animali Si dice che Sant’Antonio Abate morì così, solo tra i suoi animali e il suo orto, all’età di 105 anni ma rimanendo eterno nella storia del calendario cristiano che ogni anno, il 17 gennaio, lo ricorda come santo protettore degli animali domestici, patrono dei maiali e della stalla, dei salumai e dei macellai. Si dice che mentre Antonio era in viaggio attraverso il mare, una scrofa lasciò ai suoi piedi un maialino molto malato; il Santo lo guarì con la preghiera e da lì in poi divenne il suo compagno inseparabile. Ma di storie che vogliono Sant’Antonio Abate raffigurato con un maiale e le fiamme ce ne sono altre; ad esempio, un’altra leggenda racconta che questi scese all’inferno per affrontare Satana e per mettere in salvo alcune anime, ma per distrarre il diavolo mandò il suo maiale con una campana legata al collo, così per distrarlo. Sant’Antonio riuscì così a rubare il fuoco infernale e donarlo agli uomini sulla terra. Una notte magica C’è anche un’altra leggenda, legata alla notte tra il 16 e 17 gennaio: si dice che quella notte, quando il Santo era in vita, gli animali attorno a lui acquisirono la capacità di parlare; questo evento, secondo la leggenda, segnò l’immaginario collettivo come un segno di male augurio, e così le persone presero l’abitudine a starsene alla larga dalle stalle la notte del 17 gennaio. Come tradizione, la vigilia di questa festa si era soliti pulire attentamente la stalla, i giacigli e i pollai, ed essendo una notte magica, si crede che gli animali possano tutt’ora continuare parlare. Ma per gli uomini è meglio non restare ad ascoltarli, altrimenti rischiano di pagare gravi conseguenze. Per Sant’Antonio non possono essere uccisi e mangiati animali, vietato immolare anche una gallina o un coniglio. La benedizione degli animali In questa giornata in molte località d’Italia e d’Europa avviene la benedizione degli animali da compagnia e da cortile, non solo davanti alle chiese. I parroci si recavano spesso di persona nelle aziende agricole, nelle fattorie e negli allevamenti, per impartire la benedizione. Per l’occasione il 17 gennaio arriveranno a Roma, in piazza San Pietro, mucche, asini, pecore, capre, cavalli, galline e conigli delle razze più rare e curiose salvate dal rischio di estinzione. A portarli sono gli allevatori che giungeranno nella capitale da tutta Italia per iniziativa dell'Associazione italiana Allevatori e della Coldiretti. Alle ore 9 ci sarà la tradizionale benedizione insieme a cani e gatti, dove saranno presenti gli animali della fattoria che popolano le campagne, dalla mucca Frisona Italiana alla Chianina fino alla Marchigiana, dalla Pecora Sarda alla Sopravvissana, dalla capra Girgentana alla Monticellana, dal Cavallo Agricolo Italiano al Tolfetano fino all'asino dell'Amiata. I panini benedetti Oltre agli animali, si è soliti benedire il sale e il pane. Questa tradizione viene legata al miracolo della resurrezione del piccolo Tommasino, un bimbo di venti mesi di Padova annegato in una tinozza piena d'acqua. La madre, scoperto il corpo del suo piccolo deceduto, iniziò a piangere e a pregare Sant'Antonio promettendogli di dare ai poveri, ogni anno, una quantità di grano corrispondente al peso del suo bimbo. Fu così che il bambino riprese a vivere. La tradizione del pane benedetto vuole che il giorno della festa del Santo si benedicano dei piccoli pezzi di pane, che vengono poi distribuiti ai fedeli e consumati per devozione. Il ‘fuoco’ di Sant’Antonio Antonio morì più che centenario, intorno alla metà del IV secolo. Nonostante avesse proibito di rivelare il luogo della sua sepoltura, nel 561 fu scoperta e le sue reliquie furono portate a Costantinopoli. Cinquecento anni dopo un nobile crociato francese le ottenne dall'Imperatore di Bisanzio e le portò in Francia dove fu costruita una chiesa per custodirle. Nel 1090 diverse provincie francesi furono colpite da una vasta epidemia del terribile "fuoco", allora incurabile. Vicino alla chiesa dove erano custodite le reliquie, invocando Sant’Antonio furono ottenute molte miracolose guarigioni. Fu fondato allora un nuovo ordine religioso e vennero costruiti ospedali dedicati completamente alla cura dalla malattia che da allora cominciò a chiamarsi "fuoco di S. Antonio". Prima della scoperta degli antibiotici il "fuoco" era fortemente invalidante e quasi sempre mortale. Il tentativo di cura spesso consisteva semplicemente nell'amputazione della parte infettata. I monaci antoniani curavano le piaghe del "fuoco" con unguenti a base di lardo di maiale. Ecco perché nelle immagini devozionali accanto al santo compare un maialino. La tradizione dei falò Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio ancor oggi in tante parti d'Italia e d'Europa si accende un gran falò, a ricordo proprio di quel "fuoco", il morbo infernale. Ed è usanza portare a casa qualche tizzone per devozione, ma anche per protezione della casa dagli incendi e dei suoi abitanti dal fuoco di Sant'Antonio. Secondo un’altra leggenda Sant’Antonio rubò il fuoco agli Inferi per donare luce e calore alla Terra, al tempo afflitta da temperature glaciali. La notte di Sant’Antonio si accendono perciò dei falò propiziatori, con l’intento di gettare tra le fiamme il vecchio, benedicendo con il fuoco i nuovi desideri, in vista della fine dell’inverno.
CronacaSant’Antonio Abate, la festa del patrono degli animali tra storia, curiosità e tradizioni