
La giovanissima Luisa Ballocci
Tra le cinquanta storie ci sono anche quelle di cinque aretine, raccontate dagli storici e dalle storiche della Rete degli Istituti Stoirici della Resistenza, fra cui il recentemente nato Istituto aretino.. C’è la giovanissima Luisa Ballocci, cresciuta in una famiglia profondamente antifascista, che a soli 13 anni sarà la più giovane ad essere riconosciuta partigiana combattente della nostra Regione per aver consegnato messaggi clandestini insieme alle sorelle. C’è la non più giovanissima Angela Crociani, detta “Giangia” di Anghiari che, insieme al marito, per finanziare alcune importanti operazioni della Resistenza aretina prima utilizza tutti i suoi risparmi, poi vende la propria abitazione, successivamente si dedica al commercio di tabacco di contrabbando. E poi ci sono le storie drammatiche di Gabrielle-Marie de Jacquier de Rosée, Modesta Rossi e Bruna Sandroni, che per la lotta di liberazione giungeranno a sacrificare la vita. Gabrielle-Marie che, data la sua conoscenza del tedesco, si offre per svolgere un ruolo di mediazione e salvare una famiglia presa in ostaggio dai tedeschi viene uccisa in un mitragliamento al Ponte delle Fontanelle, lungo la strada che da Castiglion Fiorentino sale al Passo della Foce. Bruna, staffetta che si sposta regolarmente in bicicletta tra il Casentino e Arezzo, che viene catturata vicino a Bibbiena dai fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana e massacrata a colpi di pugnale per poi essere abbandonata esangue lungo la strada che era abituata a percorrere per rifornire i partigiani beni di prima necessità. Infine, la medaglia d’oro al valor militare alla memoria (una delle diciannove in Italia, 5 in tutto le toscane) Modesta Rossi, che viene trucidata, insieme al figlio più piccolo di soli 13 mesi che stringe al petto, nei giorni delle terribili stragi di Civitella della Chiana, di Valle di Sopra e di San Pancrazio di Bucine dai tedeschi che vogliono carpirle informazioni sui partigiani che lei si rifiuta di dare. Toccante è stato il momento della consegna dell’attestato al figlio Mario, fra la commozione generale.
Il progetto nasce da una necessità storica e da una volontà corale che vede la collaborazione di UPI (Unione Provincie Italiane) della Toscana, Rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea della Toscana, Commissione pari opportunità della Regione Toscana e Università degli studi di Firenze
Intanto lo scorso 12 aprile, con un gesto di alto valore simbolico, in consiglio regionale sono state consegnate alle famiglie delle resistenti toscane pergamene di riconoscimento, a testimonianza della volontà di dare, finalmente, il giusto valore all’impegno di tante che agirono per la sconfitta del nazifascismo e per l’affermazione dei valori della democrazia. Alla cerimonia hanno partecipato il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, il presidente dell’Istituto Storico toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea Vannino Chiti, il presidente di UPI Toscana Gianni Lorenzetti, la presidente della Commissione regionale Pari Opportunità Francesca Basanieri e la rettrice dell’Università di Firenze Alessandra Petrucci.
Luisa Ballocci, partigiana
Nasce a Trequanda, in provincia di Siena, nel 1930. Fin da piccola respira un clima familiare profondamente antifascista perché il padre, ex impiegato pubblico, non ha più un lavoro stabile a causa della sua opposizione al regime. Dopo l’8 settembre il fratello Raul si nasconde sulle colline limitrofe ad Arezzo e Luisa, assieme alle due sorelle maggiori, è incaricata di portargli coperte e cibo. In seguito, a lei e alle sorelle è affidato il compito di consegnare nella zona di Badia Agnano, dove alcune famiglie contadine ospitano dei partigiani, i messaggi che arrivano a casa, sotto la copertura data dalla corrispondenza della madre, maestra elementare. Inizia così anche per lei, che ha circa tredici anni, l’attività di staffetta.
Insieme a Nara Scaloncini, Luisa sarà la più giovane in tutta la Regione a ricevere il riconoscimento di partigiana combattente; la stessa qualifica verrà attribuita al padre, alla madre e al fratello, comandante dell’8a banda del Raggruppamento Monte Amiata e che verrà insignito nel 1952 della Medaglia d’argento.
Angiola Crociani “Giangia”, partigiana
Nasce nel 1910 in una famiglia contadina di Anghiari, in provincia di Arezzo. Nel 1930 sposa l’aretino Giuseppe Livi (Beppone), ambulante, noto anarchico che, dopo l’8 settembre 1943, è uno dei primi a prendere contatti con Arezzo e ad organizzare gruppi di resistenti in Valtiberina, coinvolgendo anche la moglie. In particolare, dopo la fuga degli internati jugoslavi dal campo di Renicci d’Anghiari, ai due è assegnato dal Comitato provinciale di concentrazione antifascista di Arezzo il compito di aiutare i fuggiaschi nascostisi nella zona.
Dopo l’arresto del marito è Angela (che ha assunto il nome di battaglia “Giangia”) a sostituirlo nel collegamento con gli slavi fornendo cibo e armi, ma soprattutto informazioni e ordini da Arezzo. Per finanziare alcune importanti operazioni della Resistenza aretina prima utilizza i risparmi, poi vende la propria abitazione, successivamente si dedica al commercio di tabacco di contrabbando. Inoltre, Giangia si procura armi con coraggio ed astuzia, sottraendole da mezzi tedeschi lasciati incustoditi.
Nel dopoguerra è riconosciuta partigiana combattente della 23a Brigata Garibaldi “Pio Borri”. Dal 2019 il suo nome, assieme a quello di Beppone, campeggia in una targa all’ingresso del Giardino della memoria di Renicci a ricordare l’ aiuto “indomito, altruista e solidale” ai prigionieri civili jugoslavi.
Gabrielle-Marie de Jacquier de Rosée, partigiana
Nata nel 1913 a Bruxelles, nel settembre 1936 intraprende con due amiche un viaggio verso Roma, con l’obiettivo di completare la sua tesi di laurea sul Quattrocento italiano. Fermatasi casualmente a Castiglion Fiorentino, conosce l’artista Pericle Brogi, figlio del noto ceramista Antonio, con cui si sposa e ha una bambina, Lucha. Nel 1941 Brogi è richiamato alle armi e inviato in Grecia; dopo l’8 settembre sarà catturato dai tedeschi e inviato nel Reich come internato militare. Gabrielle si trasferisce con Lucha a Castiglion Fiorentino, presso la famiglia del marito.
Con la sorella del marito, Corallina Brogi, Gabrielle si dedica ad attività di soccorso alla popolazione e svolge un ruolo di supporto per la 23a Brigata Garibaldi “Pio Borri”. Nel luglio 1944, nell’ambito dei numerosi episodi di violenze e rastrellamenti che interessano la popolazione civile della zona, avendo saputo che una famiglia è stata presa in ostaggio, Gabrielle si offre per svolgere un ruolo di mediazione, data la sua conoscenza del tedesco. All’alba del 7 luglio muore mitragliata dai tedeschi al Ponte delle Fontanelle, lungo la strada che da Castiglion Fiorentino sale al Passo della Foce. Le sarà riconosciuta la qualifica di partigiana combattente. Nel luogo dell’uccisione viene eretto un cippo alla memoria, realizzato dal marito, l’artista Pericle Brogi.
Modesta Rossi, partigiana
Nata a San Martino d’Ambra (Bucine) in provincia di Arezzo nel 1914, Modesta nel 1935 sposa Dario Polletti, con cui ha cinque figli; la famiglia contadina abita in località Cornia non lontano da Civitella della Chiana. Quando dopo l’8 settembre il marito entra a far parte della locale Banda “Renzino” anche Modesta aderisce alla formazione svolgendo mansioni di staffetta.
Nella zona le azioni dei partigiani diventano il pretesto per un grande rastrellamento tedesco, sotto il comando della divisione corazzata “Hermann Göring”, che porta il 29 giugno alle terribili stragi di Civitella della Chiana, di Valle di Sopra e di San Pancrazio di Bucine. Quello stesso giorno, in località Solaia, anche Modesta viene catturata, insieme ad altri, dai tedeschi che vogliono avere indicazioni sui nascondigli dei partigiani e del marito. Dato che si rifiuta di dare qualsiasi tipo di informazione, viene uccisa insieme al figlio più piccolo di soli 13 mesi che stringe al petto. Dopo la Liberazione sarà riconosciuta partigiana combattente e le sarà conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
Bruna Sandroni, partigiana
Nata a Castel Focognano nel 1926, Bruna si avvicina al movimento partigiano per amore del suo compagno e divenne staffetta partigiana: impegnata in operazioni di rifornimento di beni di prima necessità, si sposta in bicicletta tra il Casentino e Arezzo. Il 15 giugno 1944, in località “Corsalone”, nei pressi di Bibbiena, Bruna viene catturata dai fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana e massacrata a colpi di pugnale per poi essere abbandonata esangue.
Solo dopo un violento scontro verbale con i repubblichini il parroco di Ortignano riesce a recuperare i resti della staffetta Bruna, che nel dopoguerra sarà riconosciuta come partigiana combattente caduta della 23° Brigata Garibaldi “Pio Borri”. Per il suo assassinio la Corte d’Assise straordinaria di Arezzo comminerà condanne per un totale di 50 anni di reclusione.