
Livia Gereschi
Tra le cinquanta storie ci sono anche quelle di cinque donne pisane, raccontate dagli storici e dalle storiche della Biblioteca Franco Serantini di Pisa. Storie di coraggio e determinazione, fondamentali per svolgere il ruolo di supporto logistico alla Resistenza. Come nel caso della figlia dell’economista e sociologo cattolico Giuseppe Toniolo, la pisana Teresa Toniolo che tiene stretti collegamenti tra il Comitato di liberazione nazionale e i vari gruppi partigiani, ma svolge anche una complessa e rischiosa attività di assistenza, tra gli altri, ad ebrei, prigionieri inglesi e renitenti alla leva fascista. O come la volterrana Rossana Modesti che, insieme ad altre donne, costituisce a Volterra il Comitato femminile, con il compito di confezionare e raccogliere indumenti, soldi e viveri da inviare ai partigiani che vivono alla macchia e per le famiglie più in difficoltà; loro un volantino clandestino, un appello di genere alla mobilitazione, con il titolo Alle donne d'Italia. Fra le donne raccontate dal progetto c’è anche “Chicchi”, Teresa Mattei, pisana d’adozione nel dopoguerra, che a Firenze collaborò con i Gruppi di difesa della donna, con il Fronte della gioventù comunista e coi Gruppi di azione patriottica (Gap). Meno nota invece la vicenda di “Unica”, Giuseppina Pillitteri Garemi, che è stata l’unica donna di Pisa stabilmente in formazione con la 23° Brigata Garibaldi, nel distaccamento Nevilio Casarosa: svolge attività di dattilografa e di infermiera, mantenendo i collegamenti con il Comitato di Liberazione nazionale ed è fra i partigiani che il 2 settembre entrano a Pisa, andando incontro alle truppe alleate. C’è infine la storia drammatica di Livia Gereschi, insegnante di lingue straniere a cui la conoscenza del tedesco permette di svolgere un ruolo di interpretariato: quando durante la notte tra il 6 e il 7 agosto le truppe tedesche effettuano un rastrellamento presso Molina di Quosa, catturando circa 300 civili, Livia tenta una mediazione e, dopo lunghe trattative, riesce a ottenere il rilascio di donne e bambini; viene però trattenuta con il gruppo degli uomini e fucilata l’11 agosto 1944, in località La Sassaia, presso Massarosa.
Il progetto nasce da una necessità storica e da una volontà corale che vede la collaborazione di UPI (Unione Province Italiane) della Toscana, Rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea della Toscana, Commissione pari opportunità della Regione Toscana e Università degli studi di Firenze. Ha visto la pubblicazione di un volume, che recentemente è stato anche offerto in dono al Presidente Mattarella, e continuerà con una campagna divulgativa sui social degli Istituti della Resistenza e sul portale Toscana Novecento fino all’8 maggio (per la Biblioteca Serantini su Facebook o Instagram).
Intanto lo scorso 12 aprile, con un gesto di alto valore simbolico, in consiglio regionale sono state consegnate alle famiglie pergamene di riconoscimento, a testimonianza della volontà di dare, finalmente, il giusto valore all’impegno di tante che agirono per la sconfitta del nazifascismo e per l’affermazione dei valori della democrazia. Alla cerimonia hanno partecipato il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, il presidente dell’Istituto Storico toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea Vannino Chiti, il presidente di UPI Toscana Gianni Lorenzetti, la presidente della Commissione regionale Pari Opportunità Francesca Basanieri e la rettrice dell’Università di Firenze Alessandra Petrucci, oltre che i rappresentanti di tutta la Rete provinciale degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea.
Livia Gereschi
Nasce a Pisa nel 1910 e, dopo la laurea, diventa insegnante di lingue straniere nei corsi di avviamento professionale. Si dedica al volontariato come infermiera della Croce Rossa Italiana. Nel 1944, a seguito dei bombardamenti su Pisa, è costretta a sfollare in una frazione del Comune di San Giuliano Terme. La conoscenza delle lingue straniere e, in particolar modo, del tedesco, le permette di svolgere un prezioso servizio di interpretariato tra le forze di occupazione naziste e le autorità locali.
Durante la notte tra il 6 e il 7 agosto le truppe tedesche in zona effettuano un rastrellamento in località La Romagna, presso Molina di Quosa, catturando circa 300 civili. In questo contesto Livia tenta una mediazione e, dopo lunghe trattative, riesce a ottenere il rilascio di donne e bambini. Ciononostante, viene trattenuta con il gruppo degli uomini considerati inabili al lavoro e trasferita nella scuola media di Nozzano, in provincia di Lucca, sede della 16ª Divisione tedesca. Qui rimane prigioniera in condizioni durissime per diversi giorni, subendo violenze e maltrattamenti. L’11 agosto 1944, Livia, insieme ad altri prigionieri, viene condotta in località La Sassaia, presso Massarosa, e fucilata. Qui un cippo ricorda il luogo della strage in cui trovò la morte.
Teresa Mattei “Chicchi”
Nasce in provincia di Genova nel 1921, in una numerosa famiglia borghese cattolica e di tradizione liberale. Cresce a Firenze in un clima culturalmente vivace, anticomformista e fin da subito antifascista, sviluppando una profonda avversione per ogni ingiustizia. Durante gli anni della guerra civile in Spagna a Teresa Mattei, allora sedicenne, viene affidato il compito di trasportare in Francia una colletta per i fratelli Rosselli. Nel 1942 insieme al fratello Gianfranco si iscrive al Pci e partecipa alle prime riunioni antifasciste che seguono il 25 luglio 1943.
Dall’8 settembre partecipa alla Resistenza col nome di battaglia “Chicchi”, entrando in clandestinità e lavorando con i Gruppi di difesa della donna, con il Fronte della gioventù comunista e coi Gruppi di azione patriottica (Gap). Svolge attività di assistenza, di organizzatrice e di collegamento, come staffetta. La lotta e la guerra le impongono sofferenze, ferite personali profonde e perdite incolmabili, come la morte del fratello Gianfranco, suicidatosi durante la detenzione in via Tasso. Nonostante ciò, Mattei continua il suo impegno e contribuisce all’organizzazione degli scioperi del marzo 1944 a Firenze e a Empoli. Nei giorni della Liberazione di Firenze è attiva come staffetta tra il fuoco incrociato e al comando della compagnia “Gianfranco Mattei” del Fronte della Gioventù.
Nel dopoguerra non ha interrotto il suo impegno politico: dirigente dell’UDI; attiva nella campagna elettorale per la Repubblica; la più giovane eletta nell’Assemblea costituente e segretaria di Presidenza della Costituente. Si è impegnata per tutta la vita sul piano politico, sociale e culturale nell’affermare l’uguaglianza sostanziale. La sua figura è legata all’art. 3 della Costituzione, che ha contribuito a scrivere, e alla mimosa come fiore simbolo per la festa dell’8 marzo.
Rossana Modesti
Nasce a Volterra nel 1921 da famiglia benestante: i genitori hanno una bottega in centro e sono proprietari di un palazzo nella centralissima Piazza dei Priori. Nel novembre 1943 il fratello minore Vinicio si dà alla macchia per unirsi alle formazioni partigiane che si sono costituite nell’area boschiva delle Colline metallifere, al confine tra le province di Grosseto, Livorno e Pisa. Rossana organizza con altre donne volterrane una struttura clandestina per sostenere la lotta partigiana.
Il 2 marzo 1944, insieme ad altre donne, costituisce il Comitato femminile, con il compito di confezionare e raccogliere indumenti, soldi e viveri da inviare ai partigiani che vivono alla macchia e per le famiglie più in difficoltà. Si impegnano anche nella propaganda: riescono a comporre e a dare alle stampe quello che è considerato come l’unico volantino clandestino prodotto a Volterra in quel periodo. Sotto il titolo Alle donne d'Italia viene lanciato un appello di genere alla mobilitazione: «Dobbiamo dimostrare che il sesso gentile non è solo ornamento della casa, dobbiamo rigettare tutte quelle espressioni in nostro carico ed essere in linea sul fronte della liberazione. Noi donne possiamo far molto […] Dunque al lavoro o donne; in gara con gli uomini perché si veda presto la fine di questo martirio».
Individuata come sorella di un partigiano, Rossana viene arrestata per rappresaglia dai carabinieri e portata al Carcere Don Bosco di Pisa. Qui rimane fino alla seconda metà di giugno 1944 quando, con l’intensificarsi dei bombardamenti alleati e la fuga dei fascisti locali, la gran parte dei prigionieri riesce a scappare. Nel dopoguerra è riconosciuta partigiana combattente.
Giuseppina Pillitteri Garemi “Unica”
Nasce a Genova nel 1909 da una famiglia di tradizioni anarchiche e sovversive ed è antifascista della prima ora. Insieme al primo marito emigra per motivi di lavoro e politici in Francia; qui rimasta vedova, prosegue la sua attività politica in clandestinità, frequenta gli ambienti degli esuli antifascisti nell’Île-de-France e si iscrive nel 1941 al Partito comunista d’Italia. Sempre in Francia conosce Ideale Guelfi, che diverrà suo marito, anch’egli comunista, che era stato combattente volontario antifascista in Spagna.
Dopo il 25 luglio 1943, rientra in Italia e dal settembre dello stesso anno a Pisa partecipa alle attività cospirative: lavora soprattutto come staffetta, tenendo i contatti con la direzione del partito comunista di Firenze. Nei primi mesi del 1944 segue il gruppo dei primi partigiani che salgono sul Monte Pisano, svolge attività di dattilografa e di infermiera, mantenendo i collegamenti con il Comitato di Liberazione nazionale. È stata l’unica donna di Pisa stabilmente in formazione con la 23° Brigata Garibaldi, distaccamento Nevilio Casarosa, riconosciuta nel dopoguerra con la qualifica di patriota. La mattina del 2 settembre entra a Pisa con i compagni del suo distaccamento, andando incontro alle truppe alleate.
Dopo la Liberazione prosegue la sua attività nei Gruppi di difesa della donna, di cui era stata una delle responsabili in clandestinità ed è tra le fondatrici dell’UDI pisana. Dal 1946 entra nella segreteria provinciale del Pci con l’incarico di responsabile della Commissione femminile della federazione.
Teresa Toniolo
Teresa Toniolo nasce a Pisa nel 1890 ed è attiva politicamente già nel primo dopoguerra per la campagna di estensione del voto alle donne e come vice segretaria nazionale della Sezione femminile del Partito popolare. Si fa portavoce della denuncia delle violenze fasciste di quegli anni. Donna cattolica proveniente da una famiglia prestigiosa pisana, figlia dell’economista e sociologo cattolico Giuseppe Toniolo, in quel 31 agosto 1943 in cui i bombardamenti devastano la città, in casa sua è in corso la prima riunione della Democrazia Cristiana a Pisa. La sua figura è legata all’organizzazione nell’aprile 1944 della sezione cittadina del Centro italiano femminile (Cif), tramite la quale fornisce assistenza ai bisognosi nella zona urbana distrutta dai bombardamenti e dall’occupazione nazifascista.
Sempre in casa sua dopo l’8 settembre 1943 si tengono inizialmente le riunioni del Comitato di Liberazione nazionale provinciale. Teresa tiene infatti stretti collegamenti fra il Cln e i vari gruppi partigiani, ma svolgere anche una complessa e rischiosa attività di assistenza, tra gli altri, ad ebrei, prigionieri inglesi e renitenti alla leva fascista, fingendo di operare come crocerossina in una “casa di cura” improvvisata, in cui sostanzialmente li nasconde come “malati”.