
Lina Tozzi
Tra le cinquanta storie ci sono anche quelle di cinque donne senesi, raccontate da Laura Mattei per Istituto storico della Resistenza senese e dell’Età contemporanea “Vittorio Meoni” e Stanze della Memoria. Storie di coraggio e determinazione, fondamentali per svolgere il ruolo di supporto logistico alle bande, come nel caso della staffetta della Brigata Garibaldi “Spartaco Lavagnini”, Messina Batazzi: nella zona di Monticiano percorre a piedi e in bicicletta strade e viottoli, porta informazioni e ordini dei comandanti per i diversi gruppi partigiani dislocati in un territorio che con il passare dei giorni diviene sempre più ampio. Anche l’area di Sovicille è uno dei luoghi nevralgici per l’organizzazione della Brigata di cui diviene una fidata staffetta Natalina Marrocchesi, che si muove tra le case sia in paese che nelle campagne, parte attiva nella lotta di liberazione di quel territorio. Lina Tozzi a Radicondoli, invece, è un punto di riferimento per il coordinamento e la trasmissione di informazioni tra i primi gruppi di partigiani che si vanno organizzando e che da lì a pochi mesi daranno vita alla XXIII Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia”; via via che il fronte si avvicina affronta frequenti spostamenti anche in presenza delle forze nazifasciste armate, dissimulando in caso di posto di blocco, e in un’occasione riesce a mettere al sicuro la fornitura di un aviolancio alleato. Crescono via via i rischi che queste donne si trovano ad affrontare, come nel caso di “Lucciola”, Cordara Machetti, che addirittura durante la cosiddetta “battaglia di Monticchiello” del 6 aprile 1944 in cui si fronteggiano partigiani e militi fascisti, riesce ad aggirare le linee nemiche e raggiungere la collina da dove il grosso della formazione sta combattendo per curare i feriti e recuperare munizioni nascoste precedentemente. Sarà in seguito catturata dai fascisti e trattenuta prigioniera nella sede della Polizia politica, la famigerata Casermetta di Siena; nonostante sia più volte interrogata, non parla e attende la sua liberazione che avviene dopo oltre venti giorni di prigionia. E poi a Siena c’è Bruna Talluri, che già agli inizi del ’43 è in contatto con gli antifascisti del Partito d’Azione e con il sopraggiungere dell’8 settembre collabora alla costruzione di una rete segreta di militari e civili intenzionati a resistere all’occupazione e ad aiutare gli eserciti alleati, mentre inventa espedienti per ricoverare partigiani e soldati alleati bisognosi di cure nell’ospedale di Siena. Nel dopoguerra insieme a Vittorio Meoni, è stata la fondatrice dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e la sua prima direttrice.
Il progetto nasce da una necessità storica e da una volontà corale che vede la collaborazione di UPI (Unione Province Italiane) della Toscana, Rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea della Toscana, Commissione pari opportunità della Regione Toscana e Università degli studi di Firenze. Ha visto la pubblicazione di un volume, che recentemente è stato anche offerto in dono al Presidente Mattarella, e continuerà con una campagna divulgativa sui social degli Istituti della Resistenza e sul portale Toscana Novecento fino all’8 maggio (per ISRSEC e Stanze della Memoria su Facebook o Instagram).
Intanto lo scorso 12 aprile, con un gesto di alto valore simbolico, in consiglio regionale sono state consegnate alle famiglie pergamene di riconoscimento, a testimonianza della volontà di dare, finalmente, il giusto valore all’impegno di tante che agirono per la sconfitta del nazifascismo e per l’affermazione dei valori della democrazia. Alla cerimonia hanno partecipato il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, il presidente dell’Istituto Storico toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea Vannino Chiti, il presidente di UPI Toscana Gianni Lorenzetti, la presidente della Commissione regionale Pari Opportunità Francesca Basanieri e la rettrice dell’Università di Firenze Alessandra Petrucci, oltre che i rappresentanti di tutta la Rete provinciale degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea.
Messina Batazzi
Nasce a Tocchi, nel Comune di Monticiano, nel 1914. Cresciuta in una famiglia contadina, nella sua formazione ha un ruolo non secondario lo zio materno perseguitato dal regime fascista, in più occasioni picchiato e condotto in carcere. Messina, ancora ragazza, si oppone alla richiesta del podestà di Monticiano di consegnare beni alimentari sollecitando le altre donne del paese a seguire il suo esempio.
Messina dopo l’8 settembre aiuta i renitenti alla leva a nascondersi nei boschi. Partecipa ai primi incontri degli antifascisti del senese decisi a concertare la lotta armata nascondendosi sul Monte Quoio, nel Comune di Monticiano, dove possono disporre degli essiccatoi per ripararsi e affrontare l’inverno. Diventa staffetta della nascente Brigata Garibaldi “Spartaco Lavagnini”: percorre a piedi e in bicicletta strade e viottoli, accompagna il dottore a curare i feriti, porta informazioni e ordini dei comandanti per i diversi gruppi partigiani dislocati in un territorio che con il passare dei giorni diviene sempre più ampio. Il suo impegno si volge poi al reperimento di indumenti, scarpe e cibo che insieme alle cugine porta ai partigiani. Nella primavera del 1944, con l’aiuto di alcune donne, Messina carica armi e munizioni su un carro e le nasconde nella cappella del cimitero per nasconderle ai tedeschi. Conclusa la guerra si iscrive al PCI, è attiva nell’UDI e nel sindacato. Sarà riconosciuta partigiana combattente.
Cordara Machetti “Lucciola”
Nasce a Pienza nel 1922 in una famiglia di umili origini. Cordara è una donna vivace, creativa e dai modi un po’ spicci, fa la sarta ed è bravissima a costruire pupazzi di stoffa e lana. Fin dagli inizi del 1944 è un aiuto fidato per la soluzione di problemi logistici legati all’organizzazione dei gruppi partigiani che si stanno formando nel territorio sotto la guida di Walter Ottaviani “Scipione”, un militare di orientamento monarchico che raduna intorno a sé uomini di varia estrazione politica ma uniti nell’affrontare la lotta senza cedere all’attesismo del Raggruppamento Monte Amiata, di cui il gruppo formalmente fa parte.
Cordara, nome di battaglia “Lucciola”, si sposta per reperire cibo, vestiario, medicinali e sovente sceglie di fermarsi a dormire nel podere abitato dai parenti non lontano da Monticchiello, per evitare di tornare a casa troppo tardi e destare sospetti sulla sua attività clandestina. Il 6 aprile 1944, durante la cosiddetta “battaglia di Monticchiello”, in cui si fronteggiano partigiani e militi fascisti, insieme a Norma Fabbrini e Anelida Chietti riesce ad aggirare le linee nemiche e raggiungere la collina da dove il grosso della formazione sta combattendo per curare i feriti e recuperare le munizioni nascoste. Successivamente, è catturata dai fascisti e trattenuta prigioniera nella sede della Polizia politica, la famigerata Casermetta di Siena; nonostante sia più volte interrogata, non parla e attende la sua liberazione che avviene dopo oltre venti giorni di prigionia. Alla fine della guerra si sposa con Walter Ottaviani “Scipione” e vanno a vivere a Roma. Sarà riconosciuta partigiana combattente.
Natalina Marrocchesi
Nasce nel 1920 in una famiglia contadina che vive nei pressi di Torri, un paese nel Comune di Sovicille. Il padre è un antifascista perseguitato dal regime e la famiglia, ridotta in miseria, trova ospitalità dal prete del vicino paese di Rosia, sempre nel Comune di Sovicille. Qui una notte, agli inizi del 1944, un contingente di fascisti entra in casa con l’intenzione di prelevare il padre che riesce fortunosamente a mettersi in salvo, ma le minacce di morte e di incendio della casa, la distruzione operata negli ambienti domestici convincono ancor di più la giovane Natalina, che ormai è diventata sarta, ad essere parte attiva nella lotta di liberazione.
L’area di Sovicille è uno dei luoghi nevralgici per l’organizzazione della Brigata Garibaldi “Spartaco Lavagnini”: della brigata entrano a far parte il fratello Giorgio, nome di battaglia “Scorretto”, e, dopo l’incursione subita, anche il padre Remigio; Natalina diviene una fidata staffetta che si muove tra le case sia in paese che nelle campagne, raccoglie per i combattenti vestiario, calze e maglie di lana, si sposta fino ai poderi più prossimi ai rifugi per cucire e rammendare gli indumenti dei partigiani e porta loro informazioni e messaggi celati ad arte in mezzo agli strumenti del mestiere. In diverse occasioni queste uscite sono concordate con una o due amiche; insieme si fermano per più giorni ad aiutare le massaie a fare il pane e rifornire i partigiani nei luoghi convenuti. Subito dopo la Liberazione Natalina è attiva nel PCI e nell’UDI; otterrà la qualifica di patriota.
Bruna Talluri
Nasce a Siena nel 1923 da una famiglia della piccola borghesia cittadina, aperta e liberale tra le mura domestiche, fascista rispettabile all’esterno. Bruna frequenta la scuola elementare privata dalle Suore di Santa Caterina e sfugge così ai rigidi dettami della scuola fascista e agli obblighi della socialità di regime che mal sopporta fin da bambina. Nel 1941 il padre finisce di fronte alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia che gli infligge due anni di confino con l’accusa di aver pronunciato parole ingiuriose nei confronti del duce. Bruna è costretta ad abbandonare l’ultimo anno di liceo e andare a lavorare per mantenere la famiglia.
Già agli inizi del ’43 è in contatto con gli antifascisti del Partito d’Azione e con il sopraggiungere dell’8 settembre subito si attiva per nascondere i soldati sbandati. Collabora alla costruzione di una rete segreta di militari e civili intenzionati a resistere all’occupazione e ad aiutare gli eserciti alleati. Insieme alle sorelle Lina e Rina Guerrini, utilizza un ciclostile per scrivere e diffondere, durante gli allarmi aerei, volantini e un bollettino intitolato “Liberalsocialismo”. Svolge costante lavoro di raccolta, smistamento, propaganda, mentre inventa espedienti per ricoverare partigiani e soldati alleati bisognosi di cure nell’ospedale di Siena. Alla metà di giugno subisce una perquisizione, che risulta infruttuosa, e viene sottoposta a un lungo interrogatorio a cui riesce a resistere, ma non appena liberata si allontana da Siena con la famiglia.
Rientra nella Siena liberata ed è tra le fondatrici dei Gruppi di difesa della donna. Continua a occuparsi di politica come testimonia la sua corrispondenza con Tristano Codignola, Piero Calamandrei e altri personaggi della nostra storia repubblicana e democratica. Insieme a Vittorio Meoni, è stata la fondatrice dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e la sua prima direttrice. È riconosciuta partigiana combattente.
Lina Tozzi
Nasce nel 1915 in una famiglia mezzadrile del Comune di Radicondoli da padre socialista iscritto alla Lega contadina, avverso al fascismo fin dalle sue origini. All’età di 23 anni Lina si sposa con Primo Tozzi, che viene richiamato alla guerra e inviato sul fronte albanese, ottenendo l’esonero solo nella primavera del ’43.
Con l’8 settembre Lina Tozzi, come il marito, diventa un punto di riferimento per il coordinamento e la trasmissione di informazioni tra i primi gruppi di partigiani che si vanno organizzando nella zona e che da lì a pochi mesi daranno vita alla XXIII Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia”. Senza incertezza fornisce aiuto e solidarietà, sfamando i soldati sbandati che bussano alla porta del podere nei giorni successivi all’8 settembre. Mentre il marito fa la staffetta di notte, Lina prepara da mangiare, lava, cuce gli indumenti ai partigiani, cura i partigiani malati e feriti, affronta frequenti spostamenti anche in presenza delle forze nazifasciste armate, dissimulando in caso di posto di blocco, e in un’occasione riesce a mettere al sicuro la fornitura di un aviolancio alleato. Durante il passaggio del fronte ospita diversi sfollati in cerca di rifugio.
Nel dopoguerra si impegna nella campagna per il diritto di voto alle donne, è attiva nella Lega contadina, motivo per cui subisce ben due sfratti dai poderi dove va ad abitare. Trasferitasi a Poggibonsi, s’iscrive all’Unione Donne Italiane, partecipando attivamente all’organizzazione. Non fa domanda di riconoscimento dell’attività partigiana.