
Norma Parenti
Tra le cinquanta storie ci sono anche quelle di cinque grossetane, raccontate dall’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. C’è Aida Borghigiani, la cui vicenda si intreccia con quella della strage di Niccioleta: proprio dalla piccola frazione mineraria partirà Aida per salvare altri 26 ostaggi, arrestati pochi giorni dopo la strage del 16-17 giugno 1944, attraversando la linea del fronte e rimanendo ferita; solo molti anni dopo per quell’azione di coraggio sarà premiata con la medaglia d’argento al valor militare. Fra le grossetane narrate dal progetto c’è Virginia Cerquetti, che alla macchia vorrà restare fino all’ultimo insieme al marito, il comandante Arancio, e che davanti alla capanna del comando in località Montauto partorirà la piccola figlia Annabella. C’è poi Mariella Gori, giovanissima partigiana di Manciano, che fa la staffetta che gira armata di una pistola Beretta che porta sempre con sé: raccoglie vestiti, viveri, informazioni che riporta all’accampamento dei partigiani. Un ruolo rischioso il suo, come quello di Norma Parenti, medaglia d’oro al valor militare in memoria, che pagherà con la vita il proprio coinvolgimento con le bande collocate nei dintorni di Massa Marittima, ma anche il gesto eclatante di sfida al fascismo locale compiuto col ricomporre il corpo di un giovane partigiano esposto sulle scalinate del Duomo. Sarà prelevata dalla sua casa da militari tedeschi, con la collaborazione attiva di militi fascisti, e uccisa il giorno prima della Liberazione di Massa. E infine c’è Wanda Parracciani, parte dell’undicesima cellula gappista di Santa Fiora, la cui scelta di Resistenza si intreccia con quella del futuro marito, il partigiano Fernando Di Giulio.
Il progetto nasce da una necessità storica e da una volontà corale che vede la collaborazione di UPI (Unione Provincie Italiane) della Toscana, Rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea della Toscana, Commissione pari opportunità della Regione Toscana e Università degli studi di Firenze
Intanto lo scorso 12 aprile, con un gesto di alto valore simbolico, in consiglio regionale sono state consegnate alle famiglie pergamene di riconoscimento, a testimonianza della volontà di dare, finalmente, il giusto valore all’impegno di tante che agirono per la sconfitta del nazifascismo e per l’affermazione dei valori della democrazia. Alla cerimonia hanno partecipato il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, il presidente dell’Istituto Storico toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea Vannino Chiti, il presidente di UPI Toscana Gianni Lorenzetti, la presidente della Commissione regionale Pari Opportunità Francesca Basanieri e la rettrice dell’Università di Firenze Alessandra Petrucci.
Aida Borghigiani, patriota
Nasce a Massa Marittima nel 1913, ma si trasferisce con la famiglia nella frazione mineraria di Niccioleta. Qui tra il 13 e il 14 giugno 1944, i nazifascisti compiono una strage di 83 minatori, che vengono uccisi fra il piccolo borgo minerario e Castelnuovo Valdicecina, località poco distante, dove 77 fra loro sono trasferiti e poi fucilati. Quando, il 22 giugno 1944, sono rastrellati e imprigionati a Niccioleta altri 26 ostaggi, Aida, insieme alla vicina Reanda Basarri, decide di agire per nutrirli e soccorrerli.
I prigionieri chiedono di poter avvisare le proprie famiglie, quindi Aida attraversando i boschi e la linea del fronte, raggiunge Massa Marittima in cerca di aiuto. Al suo rientro a Niccioleta, però, durante un bombardamento è colpita da una scheggia di granata e rimane gravemente ferita a una gamba. Nel dopoguerra è riconosciuta come patriota dalla banda “Camicia rossa” di Massa Marittima e proposta per una Medaglia d’argento al valor militare. Nonostante le numerose testimonianze degli uomini rastrellati, solo nel 1967 le è conferita la Medaglia di bronzo.
Virginia Cerquetti, partigiana
Nasce a Rosario, nei pressi di Santa Fé in Argentina, nel 1917, ma non sappiamo quando si trasferisca in Italia. Dall’8 settembre 1943, risulta a Manciano, in provincia di Grosseto, dove partecipa alle riunioni clandestine che porteranno alla nascita della formazione partigiana di zona, insieme al marito Sante Gaspare Arancio, che ne diverrà il comandante. La sera di Natale 1943, Virginia, dedita in paese alla propaganda e al reclutamento per la banda, è costretta a fuggire con la famiglia, perché preavvisata del loro arresto deciso dalle autorità repubblichine del luogo.
Virginia da quel momento vive alla macchia con la formazione insieme al primo figlio del marito, Mario, di soli 8 anni, e nonostante il suo stato di avanzata maternità: il 28 febbraio 1944 all’accampamento dà alla luce una bambina, cui, per espressa volontà dei partigiani, viene dato il nome di Annabella. Proposta per una medaglia di bronzo mai conferitale, accetta di allontanarsi con i figli per nascondersi in un rifugio sicuro solo la mattina del 20 maggio 1944, quando viene sferrato un massiccio attacco contro la banda che la porterà al completo sbandamento.
I toni paternalistici della relazione della banda ne esaltano le doti paragonandola alle donne del Risorgimento, ma fra le altre cose vi si legge che “nei momenti più cruciali, passati per i tentativi di rastrellamenti, non esitò ad imbracciare anch’ella il mitragliatore come il più modesto gregario della Banda” e che “al fianco del consorte volle partecipare ad alcuni atti di sabotaggio dei ponti”.
Mariella Gori, partigiana
Nasce a Manciano nel 1923 da Giuseppe Gori, antifascista in casa del quale viene fondata una delle primissime bande della Maremma grossetana. Mariella, appena sedicenne, partecipa alle molte riunioni fatte fra l’8 settembre e l’ottobre 1943 e giura in nome della democrazia e della libertà insieme al futuro comandante della formazione della zona, Sante Arancio, e agli altri partigiani.
Da qualche giorno prima del Natale 1943 a fine marzo 1944 Mariella è alla macchia proprio con la banda guidata da Arancio. Svolge la funzione di staffetta: gira armata di una pistola Beretta che porta sempre con sé, raccoglie vestiti, viveri, informazioni che riporta all’accampamento. Inoltre, è proprio lei a contattare, per conto del capobanda, i medici di Manciano affinché si rendano disponibili per le esigenze della formazione. Dopo la guerra è riconosciuta partigiana combattente.
In un’intervista ricorda che “alla macchia c’era una grandissimo rispetto per noi donne, mentre in paese ci consideravano delle poco di buono”. Muore il 13 maggio del 2010, all’età di 87 anni, dopo aver a lungo testimoniato la sua vita.
Norma Parenti, partigiana
Norma Parenti nasce nel 1921 al podere Zuccantine di Sopra, allora nel Comune di Massa Marittima, oggi nel Comune di Monterotondo Marittimo. Sposa Mario Pratelli con cui ha un figlio, Alberto Maria, che nel 1944 ha sei mesi. Attiva come collaboratrice delle bande partigiane di Massa Marittima, assume compiti pericolosi fin da subito, appena i primi gruppi di giovani, rifugiatisi nelle macchie, cominciano a raccogliere armi, preparare azioni di sabotaggio e scontri armati.
Norma diffonde manifestini antifascisti e sfrutta i frequenti contatti con i prigionieri tedeschi nel ristorante di famiglia per indurli alla diserzione; poi li accompagna presso l’accampamento della Banda “Camicia Rossa”. Offre ai partigiani aiuti materiali e conforto, fino alla scelta temeraria, in spregio al divieto fascista di sepoltura, di ricomporre il cadavere del giovane partigiano Guido Radi (“Boscaglia”) esposto sulla pubblica piazza e organizzarne il funerale. Gesto questo di aperta sfida all’autorità a cui molti imputano la sua successiva cattura e uccisione: nel contesto di violenza della fine di giugno del 1944, con l’approssimarsi del fronte, Norma è infatti prelevata dalla sua casa da militari tedeschi, con la collaborazione attiva di militi fascisti, trascinata in località Podere coste Botrelli e trucidata. Il suo cadavere sarà ritrovato l’indomani, 24 giugno 1944, mentre le truppe Alleate entrano a Massa Marittima. Riconosciuta partigiana combattente, su iniziale e precoce sollecitazione da parte dell’UDI, alla memoria di Norma è attribuita la Medaglia d’oro al valor militare.
Wanda Parracciani, partigiana
Nata a Santa Fiora nel 1921, si avvicina all’antifascismo grazie allo zio Ottorino Tarcioni, perseguitato politico e futuro sindaco del comune grossetano nel dopoguerra. Nell’estate del 1943 si trova proprio a Santa Fiora ed entra in relazione con l’ambiente antifascista dei minatori, di cui comincia a leggere i volantini di propaganda. Inizialmente collabora con lo zio nella falsificazione dei documenti di identità dei giovani di Santa Fiora, per sottrarli agli obblighi di leva; insieme alle donne del paese nutre gli antifascisti in carcere e nasconde renitenti e disertori, anche in casa sua. Aderisce quindi al PCI e alla Resistenza e, con altri due studenti sfollati da Grosseto, Aldo D’Alfonso e Fernando Di Giulio, riceve dalla formazione “Ovidio Sabatini” l’ordine di restare in paese allo scopo di controllare le attività dei gruppi fascisti, così da poter dare informazioni alla banda che, in caso contrario, si potrebbe trovare isolata in quella zona. Così i tre giovani danno vita all’undicesima cellula gappista di Santa Fiora, dieci di minatori ed una, la loro, di intellettuali. Con una vecchia macchina da scrivere e qualche foglio di carta carbone, iniziano a produrre una testata clandestina, “Il Comunista dell’Amiata”, e a diffonderla come bollettino preparatorio all’insurrezione, oltre a stampare un gran numero di manifesti e circolari per conto dei CLN clandestini della zona. Attività di collegamento con i CLN e con il PCI, azioni di sabotaggio, diffusione di stampa antifascista sono i compiti che svolgono i tre giovani gappisti fino alla fine di maggio del 1944.