REDAZIONE CRONACA

Riconoscimento anche a cinque pistoiesi. Ecco le loro storie di coraggio e determinazione

Liliana Cecchi, Lina Cecchi, Lea Cutini, Albertina Fantini, Fiorenza Fiorineschi

La fotografia del reporter americano che ritrae le sorelle Liliana e Lina Cecchi e Lea Cutini

Tra le cinquanta storie ci sono anche quelle di cinque pistoiesi, raccontate dagli storici dell’Istituto toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea di Pistoia (Isrpt). Ci sono le sorelle Liliana e Lina Cecchi, la cui adesione alla Resistenza dopo l’8 settembre è pressoché immediata: informate da un partigiano che il fratello è ricercato, si adoperano per aiutare non solo lui, ma anche altri soldati italiani disertori, attività che fa loro prendere contatto con il Gruppo di difesa della donna di Pistoia. Entrano in questo modo in contatto con un’altra delle donne raccontate dal progetto, Albertina Fantini che, in quanto dirigente del Gruppo di difesa della donna ma anche ufficiale di collegamento tra il Comitato di Liberazione nazionale provinciale e le diverse componenti dell’antifascismo pistoiese, darà loro le prime nozioni relative all’attività clandestina e la metterà in contatto con le altre donne della formazione. Fra di loro anche Lea Cutini di cui si ricorda in particolare un’operazione delicata per tentare la liberazione di due prigionieri catturati per effettuare una rappresaglia: assumendosene tutti i rischi, insieme a Liliana Cecchi, Lea si presenta al comando tedesco e riesce a ottenere il rilascio dei due ostaggi. Di diversa estrazione politica è invece la quinta donna biografata, Fiorenza Fiorineschi, che Gerardo Bianchi, membro del Comitato di liberazione nazionale e della Dc clandestina di Pistoia, individua come la prima a mettersi a disposizione della neonata Democrazia cristiana (Dc) dopo l’armistizio, svolgendo attività di staffetta: trasporta biglietti, ordini, stampa clandestina nascondendoli sotto i vestiti; a lei è anche affidata la diffusione del giornale “Bandiera del popolo”.

Il progetto nasce da una necessità storica e da una volontà corale che vede la collaborazione di UPI (Unione Province Italiane) della Toscana, Rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea della Toscana, Commissione pari opportunità della Regione Toscana e Università degli studi di Firenze. Ha visto la pubblicazione di un volume, che recentemente è stato anche offerto in dono al Presidente Mattarella dal presidente dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea, Vannino Chiti, e continuerà con una campagna divulgativa sui social degli Istituti della Resistenza e sul portale Toscana Novecento fino all’8 maggio (per Isrpt su Facebook e su Instagram).

Intanto lo scorso 12 aprile, con un gesto di alto valore simbolico, in consiglio regionale sono state consegnate alle famiglie delle resistenti toscane (almeno a quelle che sono state rintracciate) pergamene di riconoscimento, a testimonianza della volontà di dare, finalmente, il giusto valore all’impegno di tante che agirono per la sconfitta del nazifascismo e per l’affermazione dei valori della democrazia. Alla cerimonia hanno partecipato il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, il presidente dell’Istituto Storico toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea Vannino Chiti, il presidente di UPI Toscana Gianni Lorenzetti, la presidente della Commissione regionale Pari Opportunità Francesca Basanieri e la rettrice dell’Università di Firenze Alessandra Petrucci, oltre che i rappresentanti di tutta la Rete provinciale degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea.

 

 

Liliana Cecchi

Nasce a Pistoia nel 1922 e cresce nel quartiere popolare di San Marco, in cui nel corso del ventennio serpeggia l’ostilità verso il regime; anche il padre è un antifascista di vecchia data che ogni tanto subisce intimidazioni da parte delle autorità. Dopo l’8 settembre 1943 l’adesione di Liliana e di sua sorella Lina alla Resistenza è pressoché immediata: informate da un partigiano che il fratello è ricercato, si adoperano per aiutare non solo lui, ma anche altri soldati italiani disertori, attività che fa loro prendere contatto con il Gruppo di difesa della donna.

A Liliana in particolare è affidato il compito di lavorare presso il comando tedesco in piazza San Francesco, in qualità di dipendente comunale addetta al servizio annonario, ma trasporta anche armi e munizioni. Tra il 5 e il 6 settembre 1944, è informata dalla partigiana Lea Cutini che nella frazione di Ramini, in seguito all’uccisione di un soldato, i tedeschi per rappresaglia hanno arrestato il parroco ed il partigiano Guerrando Olmi. Nonostante il divieto del Comitato di Liberazione Nazionale, le due donne si presentano al comando tedesco e riescono a convincere i militari che il loro compagno è stato ucciso da una pattuglia alleata in ricognizione, ottenendo così il rilascio dei due ostaggi. È una delle sette donne pistoiesi a ricevere la qualifica di partigiana combattente; viene inoltre insignita della Croce al merito di guerra e di altre onorificenze.

È ritratta insieme alla sorella Lina e ad altri partigiani e partigiane, in una famosa foto scattata da un reporter statunitense nei giorni successivi alla Liberazione di Pistoia e poi donato alla città di Pistoia negli anni 60/70. Lo scatto ritrae, durante la Liberazione della città, da sinistra Israele (Lele) Bemporad, Liliana Cecchi, Bumeliana Ferretti Pisaneschi, Enzo Giorgetti (in secondo piano e con il volto parzialmente coperto dal fucile), Marino Gabbani, Lina Cecchi, un uomo russo non identificato e Lea Cutini.

 

Lina Cecchi

Nasce a Pistoia nel 1926 nel quartiere popolare di San Marco. Il padre, come molti abitanti del quartiere, è ostile al regime e, non avendo mai voluto essere tesserato del partito nazionale fascista, viene spesso intimidito e provocato. Come ricorderà la sorella Liliana, la famiglia vive in contesto umile ma di saldi principi in cui esse assimilano la caparbia volontà dei genitori di non sacrificare le proprie convinzioni.

Lina, di idee comuniste, decide di unirsi alla Resistenza dopo che il fratello Guglielmo deve darsi alla macchia per non aver aderito ad un bando di reclutamento emesso dalla Repubblica sociale; così, all’età di 17 anni, diventa una staffetta ed entra a far parte della sezione pistoiese dei Gruppi di difesa della donna, costituitasi il 10 gennaio 1944, rimanendovi fino al suo scioglimento avvenuto nel settembre successivo. È, insieme alla sorella maggiore Liliana, una delle sette donne pistoiesi a ricevere la qualifica di partigiana combattente.

 

Lea Cutini

Sono noti solo alcuni dati essenziali sulla vita di Lea prima della guerra: nata a Pistoia nel 1912, la ritroviamo nel 1940 sposata e impiegata in una fabbrica di materiale plastico.  Dopo l’8 settembre 1943 entra in contatto con il PCI clandestino, di cui distribuisce il materiale di propaganda. Entra in questo modo in contatto con Alberta Fantini la quale, in quanto dirigente del Gruppo di difesa della donna, le dà le prime nozioni relative all’attività clandestina e la mette in contatto con le altre donne della formazione.

Nonostante il timore per la sicurezza della sua famiglia, Lea mette sempre a disposizione la sua abitazione pistoiese per ospitare le riunioni del Comitato di Liberazione Nazionale clandestino o come deposito di armi e rifugio per i feriti. Le sono anche affidate operazioni delicate: ad esempio, insieme alla partigiana Tina Bovani e ad altri compagni, compie un’operazione di recupero di armi da una casa occupata da un comando tedesco. Si sposta poi nella frazione di Ramini e qui, allo scopo di tentare la liberazione dei due prigionieri catturati per effettuare una rappresaglia, si presenta al comando tedesco una prima volta per ottenere informazioni e poi vi ritorna riuscendo a convincere i militari germanici che il soldato che è stato ucciso è caduto vittima di una pattuglia alleata in esplorazione, non dei partigiani, e ottiene così il rilascio degli ostaggi. Nel dopoguerra a Lea sarà riconosciuta la qualifica di partigiana combattente col grado militare di sergente.

 

Alberta Fantini

Nasce a Firenze nel 1919. Nel 1943 è una studentessa di Lettere all’Università di Firenze e milita nel Partito comunista clandestino. Nel gennaio 1944 entra in contatto con il Gruppo pistoiese di difesa della donna nato su iniziativa del PCI, nel febbraio ospita in casa propria a Pistoia due funzionari inviati dal PCI di Firenze a riorganizzare la federazione locale.

In breve Albertina diviene una delle più attive organizzatrici del Gruppo di difesa della donna, ma il suo ruolo nella Resistenza è poliedrico: è anche ufficiale di collegamento tra il CLN provinciale e le diverse componenti dell’antifascismo pistoiese. In casa sua si tengono riunioni, si smistano armi e munizioni e si prepara la stampa clandestina. Partecipa inoltre ad azioni di sabotaggio e alla distribuzione di materiale propagandistico.

Nel dopoguerra le viene riconosciuta la qualifica di partigiana combattente con il grado di sergente maggiore; è insignita della Croce di guerra e del “Brevetto Alexander”, un certificato dell’esercito alleato conferito ai patrioti e patriote italiani.

 

Fiorenza Fiorineschi

Gerardo Bianchi, membro del Comitato di liberazione nazionale e della Dc clandestina di Pistoia, individua Fiorenza come la prima a mettersi a disposizione della neonata Democrazia cristiana (Dc) dopo l’armistizio. Fiorenza partecipa infatti più volte alle riunioni clandestine del Cln e principalmente svolge attività di staffetta: trasporta biglietti, ordini, stampa clandestina nascondendoli sotto i vestiti; viene anche fermata più volte dai tedeschi e dai fascisti locali senza mai essere scoperta. È a lei che la Dc clandestina affida la diffusione del giornale “Bandiera del popolo”, le cui copie,  tramite un viaggio in bicicletta da via Sestini al cimitero di San Rocco, Fiorenza le nasconde in una tomba vuota per poi essere recuperarle e distribuirle.

Dopo la guerra Fiorenza, che non ha richiesto il riconoscimento della qualifica partigiana. sceglie di non sposarsi per dedicare tutta se stessa alla politica, al suo lavoro di piccola imprenditrice nell’abbigliamento infantile e all’Azione Cattolica. È delegata provinciale del Movimento Femminile della Dc dal 1959, consigliera comunale a Pistoia per tre legislature (1951, 1956 e 1970).

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