
Il convegno a Firenze
Firenze, 20 marzo 2025 - Riflessioni, non contrapposizioni, la ricerca piuttosto di terreni comuni, senza rinunciare a un dialogo vero per quanto difficile su temi che sono estremi ma decisivi. “Un momento importante per aiutare chiunque volesse per riflettere sul pensiero e sulla fede della Chiesa per quanto riguarda la vita, il valore della vita dal suo concepimento alla sua fine naturale, al di là delle scelte politiche”. Il cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo Colle Val d’Elsa-Montalcino e vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, presidente della Conferenza episcopale toscana, ha aperto con queste parole martedì sera a Firenze il convegno “Suicidio assistito: aspetti medici, etici e giuridici”, organizzato dalle diocesi toscane dopo l’approvazione della legge regionale toscana 5/2025, entrata in vigore in questi giorni dopo la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione. Si tratta di tematiche “su cui tutti dobbiamo avere coscienza”, senza “condannare nessuno – ha aggiunto Lojudice - ma cercando di rendere ragione della speranza che portiamo e quindi anche con la volontà di poter dire quello che per noi è giusto e quello che non lo è”. Per Gherardo Gambelli, arcivescovo di Firenze, è importante “riflettere sui valori in gioco per realizzare un dialogo difficile su questi temi”, ma anche una possibilità “di trovare il senso della vita e di capire l’importanza del rispetto di essa” tramite la scoperta di “terreni comuni”. Il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro Andrea Migliavacca, delegato per la pastorale della salute della Conferenza episcopale toscana,il convegno è opportunità di parola, da rilanciare anche in altri contesti per allargare il dialogo, “offrendo riflessioni e non contrapposizioni su valori come quello della vita nel rispetto di tutti”.
Tre i relatori scelti dalla Cet per approfondire l’aspetto medico, quello etico e quello giuridico, con un confronto guidato dall'epidemiologo Guido Miccinesi.
Per Marco Rossi, medico e direttore dell’ufficio pastorale della salute della diocesi di Arezzo, “la missione del medico è quella di combattere le malattie, tutelare la vita e alleviare le sofferenze. Il suicidio assistito è un processo estraneo a questo impegno”. Rossi ha portato all’attenzione la grave depressione, non riconosciuta, che spesso accompagna persone malate, e che le renderebbe incapaci di esprimere il consenso informato coscientemente. Pur consapevole della difficoltà per i medici di vedere la sofferenza, Marco Rossi ha rimarcato che “assecondare la richiesta di morte non significa dare a quel paziente ciò di cui ha bisogno”. Al contrario le cure palliative consentono di eliminare il dolore, non la vita: “non significano solo curare, ma compatire, alleviare, sotto tutti i punti di vista”. Sono queste che permettono di “assecondare le sofferenze con un diritto alla vita, non alla morte”.
La risposta alla fragilità è curare, per padre Maurizio Faggioni, ordinario di bioetica presso la Pontificia Università Alfonsiana. “La malattia e la morte - ha detto - esprimono la fragilità dell’uomo in un modo drammatico. La risposta alla fragilità è curare. Una risposta ovvia e umana di fronte alla sofferenza”. Le cure palliative "sono una forma privilegiata di carità e per questo devono essere incoraggiate”. Faggioni ha portato l’esempio dell’aumento "vertiginoso" di casi di ricorso al suicidio assistito in Olanda da parte di persone che “hanno perso il gusto dell’esistere”, ma la persona umana ha sempre valore e la vita non è meno dignitosa perché con minori qualità: “Il diritto a morire non è un diritto”. “Che la cultura della vita sia opposta a cultura della morte - ha concluso Faggioni - La risposta al dolore non può essere altra morte. La cura, vicinanza, la solidarietà e la misericordia sono la soluzione”.
Leonardo Bianchi docente di diritto costituzionale all’Università di Firenze ha approfondito gli aspetti giuridici della legge regionale sul fine vita. “Il suicidio - ha spiegato - rimane un disvalore penalmente sanzionato nella parte dell’aiuto al suicidio, salvo che non ricorrano le quattro condizioni sancite dalla Corte costituzionale, in assenza delle quali è un delitto”. La Corte costituzionale "è sempre stata molto chiara: il diritto al fine vita non sofferto e dignitoso deve essere garantito essenzialmente attraverso erogazione cure palliative e sedazione profonda palliativa. La sentenza della Corte è direttamente applicabile ma richiede l’intervento del legislatore nazionale più volte auspicato e non quello di ciascuna Regione”.