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Cronaca

Adolescence e il grido dei ragazzi che non sappiamo ascoltare: in Toscana il 66% chiede supporto psicologico

La produzione Netflix ci costringe a confrontarci con la solitudine dei ragazzi e il vuoto che cresce quando gli adulti non ascoltano. Con la psicologa Alessandra Bondi: “C’è un bisogno crescente di sostegno psicologico in tutte le fasce d’età, ma in particolare tra i giovani. L’ansia è il problema più diffuso”

La psicologa: "Ascoltare i propri figli ed esserci per loro supportandoli è fondamentale"

La psicologa: "Ascoltare i propri figli ed esserci per loro supportandoli è fondamentale"

Firenze, 7 aprile 2025 - Ci sono serie che si guardano. E poi ci sono serie che ci guardano dentro. Adolescence, la nuova produzione Netflix, è una di queste. La storia di Jamie – un ragazzo qualunque, con un dolore troppo grande per essere contenuto – ci costringe a fare i conti con quello che spesso ignoriamo: la solitudine degli adolescenti, il peso dei silenzi, il vuoto che si allarga quando gli adulti non vedono, non ascoltano, non capiscono.

Un momento di Adolescence
Un momento di Adolescence

La serie ha diviso il pubblico. C’è chi la considera troppo dura, quasi insostenibile. E chi invece la difende come un’opera necessaria, capace di aprire un dialogo vero, anche scomodo, su ciò che succede nelle stanze buie di tante camerette. Abbiamo deciso di parlarne con chi, ogni giorno, si confronta con questi temi sul campo: la psicologa Alessandra Bondi.

Recentemente è stato pubblicato un report dell'Ordine degli Psicologi della Toscana, in collaborazione con l'Università di Firenze, che mostra un aumento significativo della richiesta di sostegno psicologico. La fascia più colpita è quella degli adolescenti e dei giovani adulti, con un'incidenza del 66%. Che cosa emerge da questo report?

“Il report conferma qualcosa che ormai è sotto gli occhi di tutti: c’è un bisogno crescente di sostegno psicologico in tutte le fasce d’età, ma in particolare tra i giovani. L’ansia è il problema più diffuso, con l’87% degli intervistati che presenta sintomi di ansia. Ma non si tratta solo di ansia: il 65% degli adolescenti soffre di dipendenze digitali, un fenomeno che sta diventando sempre più preoccupante. Le dipendenze da social media e videogiochi sono un riflesso di un isolamento emotivo che rischia di compromettere il benessere psicologico. Inoltre, il 41% degli intervistati fa uso di psicofarmaci e il 73% presenta disturbi del comportamento alimentare, segnali che indicano una fragilità psicologica in crescita, soprattutto tra i più giovani”.

Partiamo subito con una domanda centrale: come influenzano i social la vita dei ragazzi?

“I social sono diventati una sorta di rifugio, ma spesso imprigionano i ragazzi in una realtà parallela che li allontana dal mondo esterno. L’adolescenza è il momento della vita in cui i ragazzi devono fare esperienze reali, confrontarsi con gli altri, vivere fuori dalla bolla digitale. In questa serie, vediamo come i social possano spingere alla solitudine, creando una sorta di distanza dalle esperienze quotidiane che invece sarebbero fondamentali per la crescita”.

Cosa possono fare i genitori per sostenere i loro figli in questo periodo critico?

“I genitori devono innanzitutto ascoltare e cercare di comprendere i loro figli, senza essere autoritari. In Adolescence, vediamo come i ragazzi si sentano soli, ma non sempre abbiano gli strumenti per chiedere aiuto. Per contrastare questo, è fondamentale che gli adulti siano empatici e pronti a mettersi in ascolto. Invece di cercare soluzioni rapide, bisogna accompagnare i ragazzi con calma, creando un ambiente di fiducia in cui possano esprimersi liberamente”.

Parliamo dei segnali da non sottovalutare. Cosa dobbiamo guardare nei nostri figli per capire se stanno affrontando un periodo difficile?

“I segnali di difficoltà sono la solitudine e la mancanza di socialità. Pochi amici, difficoltà nel mangiare correttamente, isolamento: sono tutti segnali importanti. Quando questi segnali si intensificano, può esserci il rischio di autolesionismo o coinvolgimento in episodi di cyberbullismo, che sono sempre più diffusi”.

Come creare una ‘corazza’ ai nostri figli?

“L’autostima è fondamentale. Se un ragazzo ha una buona autostima, sarà meno vulnerabile alle influenze negative dei social. Quando un adolescente ha il sostegno di un adulto che lo appoggia e lo accoglie per quello che è, può resistere meglio alle pressioni esterne. I genitori devono lavorare sull’autostima dei figli, facendoli sentire amati e accettati per la loro unicità. In questo modo, i ragazzi saranno più sicuri di sé e meno inclini a cadere in situazioni pericolose, sia online che nel mondo reale”.

Come possiamo costruire una relazione sana con i nostri figli?

“E’ importante che il genitore sia empatico e sappia rassicurare il ragazzo. I ragazzi oggi hanno bisogno di essere rassicurati nella loro fragilità. E di genitori che si mettano al loro fianco. Non basta dare ordini, bisogna capire le loro emozioni e accoglierle. L’adolescente ha bisogno di essere visto e accettato così com’è, con tutte le sue paure e insicurezze”.

Come possono i genitori incoraggiare i propri figli a uscire dal mondo digitale e vivere esperienze reali?

“La serie ci mostra che l’adolescente che si isola rischia di perdere parte di se stesso. I ragazzi devono essere stimolati ad avere passioni, a fare esperienze che li portino a uscire, a socializzare. I genitori possono incoraggiarli a praticare sport, a coltivare hobby, a uscire con gli amici. Non dobbiamo farli sentire in colpa per il tempo passato sui social, ma aiutarli a bilanciarlo con attività che favoriscano la crescita personale e sociale. La chiave è il dialogo continuo. I ragazzi non devono sentirsi sorvegliati, ma supportati. Se siamo presenti, se parliamo apertamente dei pericoli che i social possono comportare senza demonizzarli, i ragazzi saranno più propensi ad ascoltarci. La protezione non deve passare attraverso il controllo, ma attraverso il rafforzamento dell’autostima, della consapevolezza e della fiducia. I ragazzi devono sapere che possono contare su di noi, che ci siamo per ascoltarli senza giudicarli”.

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