FIRENZE
«In campo c’erano due squadre di ragazzini, eravano al Barco a Novoli e lo stadio era pieno di giornalisti, almeno duecento. Ma al rossetto non rinunciai, nemmeno in gara". Parola di Maria Grazia Pinna, la prima donna ad arbitrare una partita di calcio in Italia. Nata a Carloforte, in Sardegna, nel 1942 e giunta a Firenze (fresca sposa) a soli diciotto anni, oggi è ancora una grande appassionata di calcio ma anche di arte e cultura, oltre al grande impegno per il volontariato.
Grazia, cosa ricorda di quel 10 febbraio del 1979, quando fece il suo esordio da arbitro?
"Ero emozionata, ma nemmeno più di tanto. Però fu un mezzo disastro: dopo il primo gol non trovavo il cartellino e la penna per annotarlo e così alla fine della partita confusi il risultato! Ma tanto le attenzioni erano tutte per me, nel bene e nel male".
Intende i pregiudizi?
"Sì, ma io ho sempre risposto per le rime chi mi mandava a quel paese. Non lasciavo mica cadere gli insulti. Uno urlò che avevo le gambe storte, ma lo fulminai: avevo gambe perfette. Un’altra volta qualcuno dagli spalti mi disse: ‘Sarai brava a letto’ e io risposi: ‘Sì, però non con te’. Mi sgridarono: un arbitro non deve mai rispondere. In campo, invece, i giocatori mi hanno sempre portato rispetto, le regole erano 17 ma io usavo la 18esima: il buon senso".
Ha arbitrato per oltre 15 anni, ma come è nata questa sua passione?
"Per una sfida. Ero rimasta vedova e avevo due figli, Sonia e Omar, come il grande Sivori. E un bar da gestire, la Pasticceria Cecco di via Po a Campi. Un giorno, con alcuni amici, decidemmo di dare il nome del bar a una squadra amatoriale. Io andavo a vedere le partite e spesso contestavo le decisioni dell’arbitro, finché il poveretto, stremato, mi disse: ‘E allora vieni tu a fare questo lavoro’. Non me lo feci ripetere, mi iscrissi al corso Uisp".
All’epoca la Figc non prevedeva donne arbitro, oggi è diverso.. .
"Già, io ho arbitrato fino alla Promozione nel calcio dilettante. Se la Federazione avesse aperto le porte ci avrei provato".
Parenti e amici che le dicevano della sua scelta di arbitrare?
"Mio figlio Omar era il mio primo fan, mi seguiva ogni domenica e mi difendeva sempre. Ma anche Sonia, l’altra figlia, mi ha sempre sostenuta così come le mie amiche".
Ha fatto anche la paracadutista?
"Sì, anche in quel caso mi iscrissi al corso per sfida. Quando andai a fare il primo lancio a Capannori ebbi una sorpresa: la mia gemella Vittoria si era iscritta alle lezioni e quel giorno si lanciava per la prima volta, come me".
E oggi che fa?
"Mi dedico al volontariato, sono iscritta alla Pubblica Assistenza di Campi. Faccio parte della Protezione civile dell’Anpas e nel 2016 sono stata ad aiutare le popolazioni terremotate di Amatrice e Cittàreale. Faccio parte anche dell’associazione ‘Città Visibili’ di Campi e per ben otto anni di fila sono stata nel Sahara Occidentale per aiutare il popolo Saharawi. Quest’anno non è possibile andare ma il sostegno a distanza non si interrompe". Una donna molto attiva e impegna, ha qualche rimpianto?
"Forse di non saper bal lare, non sento il ritmo della musica. Per il resto credo di aver provato tutto: dal tennis allo sci nautico passando per l’ippica. Ho fatto un corso per sommelier, uno di cucina, ho viaggiato molto. Mi piace stare in compagnia e credo molto nei valori dell’amicizia".
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