Firenze, 12 gennaio 2022 - Il 12 gennaio 2010 Haiti venne colpita da un terremoto devastante. In un solo minuto la scossa di magnitudo 7 distrusse case, scuole, strade e lasciò dietro di sé una scia di devastazione e miseria.
Quel giorno, uno sciame di violentissime scosse devastò lo stato più povero del continente americano. A Port-au-Prince crollò tutto: abitazioni, negozi e chiese ma anche, simbolo del collasso del Paese, edifici pubblici come il palazzo presidenziale. Erano le 16:53 locali (le 22:53 in Italia) quando la terra tremò per la prima volta, con una scossa distruttiva di magnitudo 7.0 della scala Richter. Sette minuti dopo è arrivata un’altra scossa di 5.9. Poi altre e altre ancora, che hanno difatti devastato il territorio. Secondo le Nazioni Unite, oltre tre milioni di persone sono rimaste coinvolte dal sisma. Il bilancio delle vittime è di oltre 220mila morti. Quasi 300 mila i feriti e 1,5 milioni gli sfollati. Una tragedia che ha messo in ginocchio il Paese caraibico, tra i più poveri al mondo.
“È una catastrofe – riferì una testimone – sono crollati gli ospedali e le scuole, gli studenti sono morti sotto le macerie, per le vie della città si inciampa in corpi senza vita”. Sul posto, con gli scarsi mezzi a disposizione, i soccorritori iniziarono subito a scavare tra le macerie a mani nude. Le immagini del disastro fecero in un baleno il giro del mondo. Immediatamente si mise in moto la carovana umanitaria internazionale dei soccorsi, di cui l’Italia fu protagonista. Il disastro naturale infierì sulla miseria della popolazione. Anche prima del sisma infatti, tante famiglie erano esposte a gravi difficoltà, dovute alla povertà estrema, alla mancanza di lavoro e di cibo, alla violenza delle bande armate. Le operazioni proseguirono senza sosta, anche durante la notte, per salvare quante più persone possibili. Per far fronte alla ricostruzione, furono stanziati ingenti aiuti finanziari, ma oggi, a dodici anni da quell’immane tragedia, quel sisma resta ancora una ferita aperta. Aggravata da un’altra terribile scossa, avvenuta pochi mesi fa, nell’agosto del 2021.
Quando la terra tornò a tremare mietendo nuovamente migliaia di vittime. Ancora una volta edifici in macerie, persone riversate nelle strade in preda al panico, morti, feriti e danni ingentissimi. Le madri tornarono a cercare i propri figli dispersi, tra lamenti e canti religiosi urlati al cielo, coi volti sbiancati dal dolore e dalla polvere. Nel nulla di una nuova, terribile Apocalisse.
Nasce oggi
Haruki Murakami nato il 12 gennaio 1949 a Kyoto, Giappone. Scrittore, traduttore e accademico giapponese, è stato tradotto in cinquanta lingue, autore di best seller che hanno venduto milioni di copie. Uno dei suoi libri di maggior successo è ‘Norwegian wood. Tokyo blues’, romanzo capolavoro sull’adolescenza che narra di una struggente storia d’amore nel fluire dei ricordi. Ha scritto: “Avrei voluto mettermi a piangere forte ma non potevo. Non avevo più l’età per versare lacrime, avevo fatto troppe esperienze. Esiste anche questo al mondo, la tristezza di non poter piangere a calde lacrime. È una di quelle cose che non si può spiegare a nessuno, e anche se si potesse, nessuno la capirebbe. È una tristezza che non può prendere forma, si accumula quietamente nel cuore come la neve in una notte senza vento” (Da ‘La fine del mondo e il paese delle meraviglie’.