GIAMPAOLO MARCHINI
Cronaca

Tour de France, il ricordo di Nencini: "Mio zio Gastone, un grande fiorentino accanto a De Gaulle"

Il nipote Riccardo racconta: "Sono cresciuto immerso dentro il suo mito. Il capolavoro nel 1960. E lasciò ai compagni di squadra i soldi vinti al Tour"

Firenze, 28 giugno 2024 – Riccardo Nencini, per lei che è il nipote del grande Gastone, queste giornate di full immersion nelle due ruote non possono essere come le altre.

"Come potrebbe essere diversamente. Pensi che io sono nato nel 1959, pochi mesi prima che lo zio trionfasse nel Tour del France del ’60. Sono cresciuto respirando ciclismo. Mi hanno raccontato che ero tutto vestito di giallo, dalle tutine alla carrozzina. E avevo un papero di peluche, tutto rigorosamente con i colori della corsa. Per me e i miei cugini il ciclismo è stato ed è qualcosa più di uno sport".

Il Tour in Italia è certamente un omaggio a Bottecchia, che lo vinse 100 anni fa, ma con la partenza da Firenze si vuole ricordare i campioni di casa nostra, Bartali e Nencini, appunto.

"Non può che essere così. Pensi che lo zio diventa professionista nell’anno in cui Bartali smette e tutti iniziano a fare il tifo per lui soprattutto in funzione anti Coppi. Poi si guadagna il rispetto di tutti".

Dove seguirà la corsa?

"Sarà alla partenza e subito dopo scapperò nel Mugello, a San Godenzo, proprio al confine con l’Emilia quando i corridori lasceranno la nostra regione".

Cosa ricorda dei suoi racconti?

"Per quanto riguarda il Tour, Gastone rimase colpito soprattutto da un avvenimento che per certi versi è nella storia, non fosse altro perché coinvolge un personaggio come Charles de Gaulle".

Beh, non uno qualunque...

"No, e poi era un periodo particolare. Nel 1960 tra Francia e Algeria le tensioni erano al massimo per l’indipendenza di quest’ultima. Ed erano diversi giorni che il presidente era sparito dalla scena pubblica; si temono attentati nei suoi confronti. La penultima tappa passava da Colombey-les-Deux-Églises, la residenza di de Gaulle e proprio il presidente, sapendo che sarebbe transitato il vincitore del Tour, decise di incontrarlo sul percorso, scegliendo così di riaffacciarsi sulla scena pubblica, proprio in onore della corsa"

E come andò?

"L’incontro fu breve ma intenso. De Gaulle lo fermò con queste parole: ’Avete vinto con merito il Tour’, stringendogli la mano. E per tutta risposta mio zio si presentò: ’Piacere, Gastone Nencini, fiorentino. Grazie’".

Un aspetto non banale, rivendicare le sue radici.

"No assolutamente, era orgogliosissimo delle sue origini".

C’è un aneddoto particolare legato alla Grande Boucle?

"Ce ne sono tanti. Di questo in particolare c’è una foto che lo testimonia. La scena è al Parco dei Principi. Gastone ha appena vinto e lascia la bici al meccanico. Appoggia, seduto in terra, le spalle a un muretto e si rilassa fumando una sigaretta. E lo sguardo è un programma: come se dicesse ’ora lasciatemela fumare... in pace’".

Un momento di solitudine, che solo un campione riesce a gustarsi. Diceva tanti episodi...

"Questo lo conoscono in pochi. Dopo la vittoria del 1960 decise di lasciare i soldi guadagnati con le vittorie al Tour ai suoi compagni di squadra e ai meccanici...".

Generosità non da tutti.

"Vero, lo zio aveva un carattere particolare ed era generoso. Ma non sono mancati gli scontri. Come con Binda, allora ct della nazionale che non voleva riconoscergli il ruolo di capitano. Poi si dovette arrendere dopo il trionfo con la maglia gialla".

Cosa è rimasto di quel ciclismo?

"Assolutamente nulla, tutto è cambiato. Erano anni della leggenda, delle strade sterrate. Si usciva dalla guerra, tragedia immane. Le due ruote avevano restituito identità al Paese in un momento in cui il calcio, dopo la tragedia di Superga dove era scomparsa la Nazionale azzurra, faceva fatica a riprendersi".

Un ciclista che le ricorda suo zio?

"Gastone era un discesista, scalatore e buon passista, ma soffriva la cronometro. Aveva un fisico potente e di lui Martini diceva che ‘spaccava la bici’. Detto questo, direi van der Poel, che ha vinto l’ultima Roubaix.".

Secondo lei, perché suo zio è meno celebrato rispetto ad altri?

"Forse perché si muoveva fuori dal coro, con un carattere anarchico e anche per quello si tentava di tenerlo ’nascosto’. Ma tra il 1955 e il 1960 è stato quello che ha vinto di più. Un campione vero".