Vino di bassa qualità, “tagliato“ con zuccheri e alcol, e rivenduto, dopo aver contraffatto anche le etichette, come Sassicaia, Brunello di Montalcino, Chianti doc. A circa dieci anni di distanza dall’operazione Bacco, nella quale i carabinieri del Nas di Firenze portarono alla luce il giro di contraffazione, la Cassazione nei giorni scorsi – dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputato – ha confermato la condanna a un anno e sei mesi di reclusione per uno dei sodali della cosiddetta “banda del Sassicaia“. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere per frode in commercio, alla contraffazione di marchio e origine del vino, e tra le parti lese figurano il Consorzio del Brunello di Montalcino, la casa vinicola Tenuta Fanti e un big come Marchesi Antinori. Tutto nasce dopo che ristoratori, titolari di enoteche ed esportatori di vino della Toscana, avevano segnalato di avere acquistato bottiglie di vino pregiato che, in realtà, contenevano un prodotto diverso. Le bottiglie, in base a quanto ricostruito dalle indagini, provenivano dalla Turchia mentre etichette, tappi, carta velina e casse erano prodotte in Bulgaria. La produzione si sarebbe attestata su circa 700 casse di vino al mese, per un totale di 4.200 bottiglie, con un introito stimato in circa 400mila euro al mese. La contraffazione sarebbe stata relativa in particolare ad annate tra il 2010 e il 2015. Secondo l’accusa, la banda sarebbe riuscita a riprodurre anche uno speciale ologramma anticontraffazione impresso sulle etichette originali del Sassicaia. Perfino la carta velina usata per il confezionamento della bottiglie aveva lo stesso peso, 22 grammi, di quella originale. A imbottigliare il vino adulterato era un azienda toscana della zona di Empoli. Per gli altri componenti della banda, nell’ottobre del 2022, il gup di Firenze ratificò anche tre patteggiamenti (con pene comprese tra 1 anno e 4 mesi e 11 mesi). Mentre per altre quattro persone il processo è tutt’ora in corso.
Pie. Mec.
Firenze, 9 aprile 2024 – L’ultimo verdetto della Corte di Cassazione ha confermato l’associazione a delinquere legata alla frode della “banda“ che, a partire dall’acquisto di vino in cartone, ne alterava la composizione con aggiunte di zucchero e alcol, per poi rivenderlo a ristoranti toscani, presentandolo come vini pregiati,quali Sassicaia o Brunello di Montalcino. Questa vicenda, che risale a un decennio fa, ha attraversato fasi di indagini, arresti nel 2017, e un lungo processo culminato nella pronuncia della Cassazione. Un fenomeno, quello delle contraffazioni, che non riguarda solo il vino. Anzi, secondo Coldiretti Toscana è ancora più diffuso, almeno nelle vendite online, su olio, pecorino, prosciutto e tanti altri prodotti tipici regionali. Un giro d’affari, quello del “fake“, che vale oltre sei miliardi di euro, più del doppio dell’export made in Tuscany. Esperto su questo tema è Stefano Masini, responsabile area ambiente e territorio di Coldiretti.
Cosa si può fare per tutelare i prodotti toscani dalle falsificazioni?
"Sono al Brennero anche io per il “blocco“, per fermare i tir del falso made in Italy. Crediamo che sia fondamentale un’etichettatura obbligatoria su tutti i prodotti che tracci davvero il prodotto che viene venduto. Nei tir che abbiamo fermato abbiamo trovato, per esempio, liquido di ciliegie e preparati caseari diretti in Italia. Prodotti che poi diventeranno dolci e formaggi a tutti gli effetti italiani. Non va bene. Le regole sono insufficienti. A noi interessa che sia tutto tracciato, con l’indicazione dell’origine geografica, e non doganale, che segnala in etichetta solo il paese di trasformazione".
E’ un fenomeno in crescita?
"Il nostro made in Tuscany, come un po’ tutto il made in Italy, è fortemente attrattivo. E’ l’interesse economico la molla che fa scattare frodi e contraffazioni". Oltre a più controlli e più trasparenza, anche il consumatore può fare qualcosa?
"Il consumatore è disorientato. Molte etichette sono complesse, spesso ingannevoli e poco chiare. Tutti abbiamo visto sugli scaffali i pacchi di pasta con la bandiera italiana sulla confezione, salvo scoprire, scritto dietro, che, per esempio, il grano è dell’Arizona. Però ci sono alcuni elementi di garanzia di cui è bene tenere conto: comprare direttamente in un mercato degli agricoltori, oppure acquistare un prodotto con l’indicazione geografica o la denominazione di origine, che sconta dei controlli di filiera e segue disciplinari di produzione, o ancora acquistare prodotti con marchi di fama".
E il prezzo?
"E’ un altro elemento cruciale nel distinguere un prodotto locale ed è per esempio evidente nel caso dell’olio extra vergine di oliva. Nella nostra regione, produrlo seguendo pratiche di qualità non solo negli oliveti, ma anche nel rispetto delle leggi sul lavoro - assicurando contratti regolari e retribuzioni adeguate ai lavoratori - implica un costo al dettaglio che non può essere inferiore a 8-10 euro al litro. Se il prezzo del prodotto che troviamo sullo scaffale è inferiore, dobbiamo considerarlo senza dubbio un campanello d’allarme".