Firenze, 26 settembre 2017 - La trattativa. Il compromesso. Il patto. I più illustri docenti universitari del Belpaese parlavano liberamente al telefono, s’accapigliavano se necessario e «svilendo la loro funzione» mutuavano pure i termini delle pratiche commerciali, ma alla fine riuscivano a spartirsi le cattedre di diritto tributario, secondo una logica di potere che risponde a due grandi e potenti associazioni accademiche o ai loro interessi privati. Una vera e propria «chiamata alle armi» per garantire potere e privilegi alla casta dei baroni, far andare avanti i propri allievi e garantire il prestigio degli studi professionali e onorari zeppi di zeri.
Appuntamento ai Parioli, la sera del 9 giugno del 2014, per una cena che, secondo le fiamme gialle in ascolto delle conversazioni, serve a «gestire» i concorsi del futuro. È l’ex ministro Augusto Fantozzi, che insegna a Benevento, a dettare la linea, a suggerire ai colleghi presenti (Pietro Boria, Andrea Fedele, Leonardo Perrone ed Eugenio Della Valle) di individuare «un gruppo di persone di garanzia» che non esita a definire, seppur in modo scherzoso – annota il gip – «la nuova cupola».
"Non si può muovere una paglia se tu non sei d’accordo... nella tua metà campo che decidi te", captano ancora gli investigatori con le ambientali. "Se uno fa i concorsi così non ci sarà mai un minimo di... perché naturalmente nessuno ha la responsabilità di niente e ognuno va lì col coltello alla gola e dice ‘O mi dai quello o ... quindi voi capite...’".
"AL LIMITE DELL’IMPRESENTABILITÀ»
La cena del 9 giugno 2014 era servita anche a ristabilire armonia tra i baroni, dopo alcune frizioni per le candidature. Parlando di un aspirante professor, viene definito da Boria «al limite dell’impresentabilità». Ciononostante, annota il gip, questi «è pronto a promettere a Eugenio Della Valle» l’appoggio suo e del suo gruppo per consentire al medesimo l’abilitazione. «Ormai è andata, ammettiamo anche che vi sia stata una discriminazione.. ma adesso.. che possiamo fare? Vuoi che ci definiamo un pagherò? Se questo serve vediamo come farlo».
«ERA TUTTO CONCORDATO»
Particolarmente significativa, scrive il gip Antonio Pezzuti nella sua ordinanza, una conversazione intercettata nel 2015 tra gli indagati Francesco Tesauro e Adriano Di Pietro dove Tesauro dice in riferimento a una commissione giudicante: «Ma lì poi... anche se io mi dimisi abbastanza presto... avevamo concordato chi doveva passare e chi non doveva passare».
«NON LO VOTO SALVO PRESSIONI»
Il commissario Adriano Di Pietro anticipa, in un colloquio con il suo allievo Thomas Tassani, come intende valutare il candidato Paolo Puri. Dice che non voterà in suo favore salvo che non riceva «delle pressioni straordinariamente forti» oppure possa essere utilizzato come «merce di scambio». Tassani fa notare che alla ‘scuola romana’ Ssdt «ci tengono più a Puri che alla Rossi». Il prof risponde: «Allora hanno da capire che l’abbiamo messi noi».
«LE SOLLECITAZIONI A CONFRONTO»
Sempre Di Pietro fa il resoconto al professor Giuseppe Maria Cipolla di un incontro avuto con Giuseppe Zizzo. «Giuseppe è inutile che ci nascondiamo, ciascuno di noi ha delle sollecitazioni, vediamo di metterle a confronto».
«LA FIGLIA DI PARLATO È DEBOLE»
Fabrizio Amatucci pone una proposta corruttiva al commissario Espadafor. «La Parlato tu sai che è figlia di Parlato, il professor di Palermo che è stato il mae.. un po’ per certi versi, il maestro no, ma si è laureato Zizzo, cioè Zizzo è un po’ legato a Parlato, ma moltissimo è legato Parlato a Di Pietro. Di Pietro e Parlato sono sempre stati molto uniti. Quindi lui può essere che poi ad un certo punto, non lo farà all’inizio, farà il nome della Parlato che è debole, vatti a vedere il curriculum. Quindi non abbiamo un’altra arma se lui ci chiede la Parlato allora io gli comincio a chiedere di tutto perché vuol dire che il livello, hai capito? Scende. Il livello è basso».