Firenze, 29 agosto 2023 - Alla fine sarà un’ottima annata, con la benedizione del meteo che qualche danno l’ha già fatto a primavera e ha provocato perdite in vigna, con un calo di prodotto finale. I primi grappoli comunque sono già a fermentare in cantina da un paio di settimane, e non c’entrano nulla i soliti catastrofismi delle cassandre da cambiamento climatico: la vendemmia a Tenuta di Monteverro, Capalbio, è partita il 7 agosto per garantire alle uve bianche Chardonnay "la giusta acidità per avere la giusta freschezza e tensione che caratterizza questo vino".
E in questi giorni le uve bianche vanno nei cesti un po’ ovunque, sulla costa e comunque in tutte le zone di produzione di Chardonnay e Pinot, le uve che saranno base per gli spumanti, pratica ormai sempre più diffusa nel Vigneto Toscana. Ma è comunque già tempo di raccolta anche per le varietà precoci che raccontano la gran voglia di biodiversità di questo vasto Vigneto da 60mila ettari (di cui quasi 20mila bio), con le sue 12.700 aziende e i suoi 2 milioni di ettolitri in un’ampia gamma di denominazioni (sono 58: 11 Docg, 41 Doc e 6 Igt) che valgono 1 miliardo e 200 milioni di euro alla produzione. Si avvia, da qui ai primi di settembre, il tempo della raccolta per il Pinot Nero diffuso un po’ ovunque ma diventato identitario per il Mugello e l’Appennino, il Ciliegiolo esploso in Maremma, l’intramontabile Trebbiano e il Vermentino ormai di gran moda negli aperitivi estivi e sulle tavole di pesce.
Ma la Toscana è e resta la terra dei Grandi Rossi: il Chianti, versione Chianti Docg – 100 milioni di bottiglie, con le sue sottozone tra cui spiccano sempre di più Rufina, Colli Fiorentini e Montespertoli – e versione Gallo Nero, il rinnovato Nobile di Montepulciano, il prestigio indiscusso del Brunello di Montalcino e di Bolgheri, con la Maremma (Morellino di Scansano e Montecucco in testa), la Val d’Orcia e Carmignano che si accodano decisi. Un’area vasta che fa i grandi numeri, e che ci dice come andrà in definitiva la vendemmia di quest’anno.
Già, come andrà? A dire il vero, ci sono segnali negativi. Le malattie della vite, peronospora e oidio, causate dalle piogge intense di fine primavera seguite a qualche indesiderata gelata tardiva che ha frenato i germogli. Chi le ha prese in tempo – a costo di grossi sacrifici economici per la battaglia e il controllo – può tirare sospiri di sollievo. In qualche zona il danno è stato grande, "la pressione più aggressiva – commenta Mario Piccini, della famiglia che è nel vino dal 1882 – si è avuta sui vigneti tra i 150 ei 250 metri di altitudine", in pratica le colline più basse del "grande Chianti", e qualcosa verso la costa.
Coldiretti, per bocca della neopresidente Letizia Cesani, sangimignanese, stima un calo di produzione medio del 20 per cento, insomma qualcosa meno dei 2 milioni di ettolitri. Cesani parla di una raccolta complicata, "a livello quantitativo – dice – l’aspettativa è in calo dovuto soprattutto all’andamento climatico che ha favorito lo sviluppo di importanti fitopatie che hanno creato difficoltà di maturazione e fatto aumentare i costi delle pratiche agronomiche indispensabili per non perdere livello significativi di produzione. La competenza degli agricoltori, aiutati anche dalla scienza e della ricerca, è stata determinante". Schiaffi del clima a macchia di leopardo, quindi, ma la qualità non dovrebbe risentirne.