CATERINA CECCUTI
Cultura e spettacoli

A Palazzo Vecchio "Omaggio a Pier Paolo Pasolini"

Domani pomeriggio nella Sala d'Arme di Palazzo Vecchio, Ugo De Vita presenterà un omaggio artistico al regista e poeta assassinato quasi cinquant'anni fa all'idroscalo di Ostia: "Le opere di Pasolini sono destinate ad essere ricordate e vissute a lungo: Pier Paolo fu il più grande poeta civile dopo Leopardi

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Firenze, 19 novembre 2024 - “Omaggio a Pier Paolo Pasolini”, questo il titolo dell'incontro che domani alle 18 animerà la Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, ad opera di Ugo De Vita. "Il mondo non mi vuole più/ e non lo sa"./ Oggi che questo orribile creato /che pure amo,/ passa dinanzi agli occhi e li offende. (..) È l’incipit di una lirica scritta che ho scritto e dedicato a Pier Paolo Pasolini, con la quale aprirò domani il mio omaggio al poeta e regista scomparso tragicamente ad Ostia, nella notte tra il primo e il due Novembre del 1975. Ho avuto la fortuna di incontrare i poeti ed amarli, non sono poeta, poeti erano Luzi, Caproni, Pierro, Pasolini… Oggi a me destano interesse Rondoni e l’amico Brancale. Il fatto è che la crisi ora non tocca solo la letteratura ma il “pensiero”, come indica il mio maestro ed amico Eugenio Borgna, che per primo ha letto in bozza gli appunti e le parole che si intrecciano, in questa “offerta” alla memoria del poeta. Una memoria che auspico sia “di futuro”. Le opere di Pasoini sono destinate ad essere ricordate e vissute a lungo: Pier Paolo fu il più grande poeta civile dopo Leopardi.” Professore, perché raccontare Pier Paolo Pasolini a poco meno di cinquant’anni dalla tragica fine all’Idroscalo di Ostia? “Credo che valga ricordare Pier Paolo oltre ricorrenze ed anniversari; sono quarant’anni che in lezioni, spettacoli, seminari porto la sua voce in Italia e all’estero. Questo di Firenze è un appuntamento e un’occasione propizia, nella direzione della politica, proprio perché siamo nel luogo simbolo della politica in città e vale che l’uomo e il poeta vengano ricordati per quel sentimento vibrante di onestà. Pier Paolo porta istanza di verità per il suo “candore”, un termine che Dacia Maraini usa sovente, nel ricordare grazia e mitezza ma anche la fermezza della sua parola. Fare questo nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio è importante.” Lei ha conosciuto Pasolini, suo zio Corrado scrittore, giornalista, già Premio Bagutta e Viareggio nel 1972, le diede occasione di trovarsi con lui. “Si fu alla morte di Stefano, cugino del mio babbo con sua sorella Francesca, spesso venivano a casa nostra. Da Milano lo zio si era trasferito a Roma, all’Eur in Via dei Giornalisti ed era vicino di casa di Pier Paolo che stava la mamma Susanna e con la nipote Graziella, al n 9 di via Eufrate. Alla morte di Stefano - che aveva diciassette anni - per un incidente in vespa, ci ritrovammo a casa dello zio, conobbi Paietta, Cossutta, Ingrao, Berlinguer che venne ai suoi funerali. Ricordo il gesto della zia Carla, che volle carezzare i capelli di Stefano con un pettinino da bimbo. Avevo undici anni e per me quei signori eleganti e in abito scuro, erano “compagni” che vedevo alla televisione alla Tribuna Politica di Jacobelli. Con Pasolini fu diverso, lui sapevo si occupasse di Cinema, furono i miei a spiegarmi che quel signore, che vestiva come un ragazzo, con voce flebile e lieve accento emiliano, era il più grande poeta italiano.” Cosa accadrà in Sala d’Arme domani? “Intanto tengo a sottolineare come non si tratti di uno spettacolo, non c’è musica, né scene, né costumi. La suggestione a cui intendo sottoporre gli spettatori è legata essenzialmente alla parola, nulla altro che la “parola e la voce”. Parole mie e di Pier Paolo senza ausilio di musica, perché lo “spartito” deve essere consegnato alla voce e al logos. Anche gli interventi di Niccolò Morelli e Massimiliano Cardini saranno su questo piano. Un discorso, quello che terrò, che è allegoria di un “filo rosso”, che mi lega al poeta e regista, fin dal mio primo allestimento con la guida di Alberto Moravia e Ninetto Davoli. Pasolini è stato e resta un modello, mi ha ispirato la sua idea di “intellettuale corsaro”, sempre fuori dal gregge, un “comunista eretico” e sentimentale, che fu assassinato perché, come lui stesso aveva scritto in un celebre intervento sul “Corriere della sera”, sapeva del malaffare, lo stragismo e la violenza, la persecuzione omofoba, e pur non avendo prove, sapeva in quanto poeta. Oggetto delle sue invettive era, come lui stesso disse in un celebre passaggio di una delle sue ultime interviste: “lo stato delle cose”. Ancora oggi il suo monito dovrebbe essere imperativo di coloro che abbiano assunto responsabilità di amministrare una città o di governare il paese: “onestà e verità.” Pasolini non era credente ma aveva forte senso religioso, la critica ha riconosciuto ed esaltato alcuni interventi che lei ha fatto in università e in teatro, proprio perché ha insistito su questa espressione singolare di un poeta che si dichiarava marxista ed ateo. Cosa l’ha portata a dare risalto nei suoi interventi alla “religiosità di Pasolini? “Su Nuova Antologia recentemente ho scritto del senso del sacro e del profano in Pier Paolo. Si pensi al Vangelo di Matteo, come alla raccolta “L’usignuolo della Chiesa cattolica” al suo progetto su San Paolo (che non riuscì a tradurre in pellicola), forse anche nel timore di subire un nuovo “linciaggio”. “La ricotta”, (episodio in Rogopag) era un autentico giottesco capolavoro, e aveva già portato il poeta, una decina di anni addietro, ad uno scandalo prima e poi ad uno dei trentatré processi che gli aveva intentato la magistratura di allora. Si può affermare come Pier Paolo avesse in sé senso religioso e rispetto per le sacre scritture e la figura di Cristo. Molti dei poeti, che mi sono stati amici e si dichiaravano “non credenti” o “non praticanti”, vivevano “sfocatura” di un sentire e approdare così ad una forma di cristianità “primitiva”. Lo stesso Dario Fo con Franca Rame, con i quali dopo gli anni dell’Accademia feci un breve ma intenso percorso a Milano, avevano un loro modo di sentire Dio. Altro discorso è quello sulla Chiesa, poiché la “Ecclesia” è una comunità di uomini, con le loro miserie e i loro limiti. Comunque questo è un tema da affrontare con estremo rispetto, in modo che ciascuno sia libero di vivere con la propria interiorità risposte alle domande che intenda porre”. Cosa avrebbe potuto dare Pier Paolo Pasolini alle generazioni che non ha potuto incontrare? “Aveva tolto dal suo vocabolario la parola “speranza”, parlava invece di progresso/regresso e poi di omologazione, detestava la televisione. Fu lasciato solo ma non smise mai di cercare interlocutori, in particolare mancarono Calvino (con cui ebbe più di una polemica) e Sciascia (che forse anche per la “sicilianità” sentiva una distanza dal “continente”). In “Petrolio”, il romanzo incompiuto pubblicato postumo, c’è il mistero della sua fine: ritengo davvero che il massacro ad opera di ignoti avvenuto la notte tra il primo e il due novembre del ‘75, sia una pagina orribile della nostra storia, come la morte di Feltrinelli, Mattei, De Mauro, Moro, come le stragi di Stato e penso a Ustica, all’Italicus e Piazza Fontana a Brescia, ma il discorso si farebbe assai lungo e in quell’ultima intervista a Furio Colombo la frase del poeta fu: “Siamo tutti in pericolo”. Non si può né si deve dimenticare.”