Andrea Spinelli
Cultura e spettacoli

Cristiano De André omaggia Faber: “Sempre più ragazzi si emozionano”

Giovedì prossimo alla Rocca Maggiore di Assisi, il 19 agosto al Castello Pasquini di Castiglioncello e il 20 a Villa Bertelli di Forte dei Marmi

Cristiano De André

Cristiano De André

Assisi, 30 luglio 2024 – “Forse è anche un mio dovere di figlio cantare le sue canzoni” ammette Cristiano De André parlando di quel “De André #DeAndré - Best Of Live Tour” con cui omaggia il padre-monumento giovedì prossimo alla Rocca Maggiore di Assisi, il 19 agosto al Castello Pasquini di Castiglioncello e il 20 a Villa Bertelli di Forte dei Marmi. L’opportunità è data dal venticinquesimo anniversario della scomparsa di Fabrizio e dallo spirito antologico dello spettacolo in cui Cristiano raccoglie la créme dei quattro album dal vivo dedicati a Faber (alle tastiere c’è Luciano Luisi, arrangiatore dei primi due volumi). “Questo offre l’opportunità a quelli che l’hanno scoperto solo grazie ai dischi di ascoltare la musica di mio padre eseguita dal sangue del suo sangue. Un bello scambio di emozioni, perché ci sono sempre più ragazzi che trovano in quelle canzoni risposte alle proprie domande esistenziali”.

Da figlio, qual è il periodo della produzione di Fabrizio che le è più caro?

“Quello dell’album con l’indiano in copertina perché gliel’ho visto scrivere all’Agnata, la nostra tenuta di famiglia in Sardegna, con Massimo Bubola passo dopo passo. In quegli anni avevo la mia band, i Tempi Duri, e ci esibivamo in apertura dei suoi concerti. Io comparivo in scena pure durante il suo set, ma solo per suonare la chitarra in ‘Fiume Sand Creek’ e fare il verso del cuculo. Non posso non citare pure il tour di ‘Creuza de mä’, il primo in cui ho fatto parte a pieno tutolo della sua band, né l’ultimo, quello di ‘Anime salve’, che ci ha dato l’opportunità di ritrovarci, di parlarci, di stare assieme come forse non era mai capitato prima”.

Che impressione le fa incrociare il suo tour con quello di Mauro Pagani che, in occasione del quarantennale, riporta in scena proprio le canzoni di “Creuza de mä”?

“Non posso che esserne felice, perché ‘Creuza’ è pure suo. Il bouzouki e altri strumenti etnici che mi porto dietro nei concerti li ho ereditati da lui e da quell’esperienza assieme”.

Com’è cambiato il mondo da quei tour?

“Per me tanto, visto che allora viaggiavo attorno ai trent’anni mentre ora ne ho 61. Cantare mio padre, però, mi regala ancora l’opportunità di scoprire nei testi qualcosa di non colto, qualche intuizione leggibile fra le righe che va a definire meglio un dato concetto, a fotografare in maniera più efficace una certa situazione”.

L’ultimo giro di concerti, legato alla rivisitazione integrale di “Storia di un impiegato”, l’ha messa a tu per tu con una generazione molto meno portata ad alzare la testa di quella raccontata nel disco.

“Effettivamente, s’è capito anche dall’esito delle elezioni europee. La cosa mi ha riportato alla mente un proverbio turco che dice: alla fine gli alberi votarono l’ascia perché, astutamente, per via di quel manico di legno li aveva convinti d’essere una di loro”.

Fabrizio se n’è andato a soli 58 anni.

“Ammetto che da quando ho superato quella soglia, mi sento un po’ sopravvissuto. Nonostante oggi sia più vecchio di lui, in scena mi sento ancora un cucciolo, il ventenne che si portava accanto sul palco di ‘Creuza de mä’”.

Suo padre non voleva che facesse il suo mestiere, però l’iscrisse al conservatorio.

“Col pensiero alla nostra azienda agricola in Sardegna, mi avrebbe voluto veterinario. Questo anche per proteggermi dalla durezza del confronto che avrei dovuto accettare scegliendo di camminare sulla sua stessa strada. In effetti, non è stato facile affrontare questo mestiere da figlio di, ma ho preferito soffrire un po’ di più e fare quel che mi sentivo di fare”.