GABRIELE MANFRIN
Cultura e spettacoli

Luca Calvani tra cavoli e merende: un libro sulla cucina “e sull’amore per le piccole cose”

L'attore e regista pratese vive con il compagno a Camaiore, in un casale in mezzo alla natura. Il 7 marzo la presentazione del libro alla Giunti Odeon di Firenze

Luca Calvani

Luca Calvani

Firenze, 27 febbraio 2025 – Vedere la cucina come uno strumento per unire, per raccontare vite ed esperienze. Come qualcosa che va oltre una semplice preparazione fatta di misure e procedimenti. ‘Cavoli&Merende ricette e consigli per quattro stagioni’, l’ultimo libro dedicato al mondo della gastronomia scritto dall’attore e regista pratese Luca Calvani, fresco di “Grande Fratello”, sposa in pieno questa filosofia. Non una semplice raccolta di ricette, ma una sorta di viaggio nella vita dell’autore, dove le pietanze diventano il mezzo con cui raccontare affetti, viaggi, ricordi e anche luoghi. Mettendo al centro sempre la sua Toscana, precisamente Le Gusciane, un antico casale ristrutturato tra le colline di Camaiore, dove Calvani, occupandosi di ospitalità e cucina, ha trovato «la sua dimensione». Abbiamo parlato con l’attore e regista, che il 7 marzo sarà alla libreria Giunti Odeon di Firenze per la presentazione del libro pubblicato da EDT.

Calvani, in un mondo in cui la cucina sembra sempre più spettacolo e meno sostanza, Cavoli & Merende va in controtendenza. È una dichiarazione d’amore per le cose semplici? 

"In un certo senso. Direi una dichiarazione d’amore per un certo tipo di stile di vita. Fatto di cose semplici, sì, ma soprattutto di piccole cose. Con il mio compagno e socio, vivo in una casa circondata da boschi e natura. Il libro vuole raccontare come ci si trova in questa dimensione e descrivere il passaggio dalla vita in una grande città come Londra o New York a un contesto non frenetico, dove le tempistiche si dilatano. Per me è stato salvifico".

E infatti, nel suo libro il cibo non è solo nutrimento, ma è più un’esperienza che non riguarda solo il gusto…

"Il cibo per me è sempre stato un ponte. Mi ha dato un forte senso di appartenenza quando sono stato lontano da casa e mi ha anche insegnato a raccontarmi agli altri. A descrivere la mia terra e le mie origini".

Tra i 77 piatti che hai deciso di inserire, quale la racconta più degli altri?

"Uno tradizionale e l’altro più moderno. Il primo è sicuramente la minestra di pane. Un punto fermo. Racconta la mia infanzia e le mie origini pratesi. È uno di quei piatti che ti faceva la nonna. L’altro sono i cavolini in glassa di miso, frutto di diverse sperimentazioni".

E  quello che le risveglia un ricordo?

"La cecina (o la torta), mi ricorda l’estate di quando ero bambino. Quando dal mare tornavamo verso Prato con il furgone carico di valigie e ci fermavamo a prenderla. Era una tappa fissa, ogni anno".

Nel libro c’è molta Toscana, ma anche altre influenze. Qual è il sapore che più l'ha sorpresa fuori casa?

"Sicuramente i gusti della cucina indiana, giapponese e thailandese. Mi ha colpito particolarmente quella israeliana, la tartare di melanzane è sorprendente. L’idea del libro è contaminare con questi sapori, a volte rielaborandoli".

Spesso dice che cucinare è un atto di generosità. C’è stato un momento della tua vita in cui hai capito davvero il potere del cibo nel connettere le persone?

"Da buon toscano, la cucina ha sempre fatto parte della mia vita, ma è a New York che mi si è spalancato il suo potere unificatore".

Si ricorda un aneddoto?

"Venticinque anni fa, un’agenzia mi chiamò per fare l’interprete a un gruppo di italiani. Era coinvolta un’azienda cosmetica e c’erano molti giornalisti di alto livello, immaginate il clima… Eravamo in albergo e, grazie al ristorante dove lavoravo, per cena feci arrivare pastasciutta e pizze fritte. La situazione cambiò in un secondo, e dopo 25 anni c’è chi mi scrive ancora".

Se dovesse scegliere un piatto dal libro per conquistare qualcuno a tavola?

"Inizi con un millefoglie di puntarelle e continui con il tortello di patate con ragù vegano. Poi sei sicuramente a buon punto" (ride).