REDAZIONE CULTURA E SPETTACOLI

Le parole di cui siamo orgogliosi

Alcuni oggetti di uso comune vengono indicati con nomi diversi dal parlare comune italiano

Sempre Babbel indica le cinquanta parole toscane da conoscere. Quante volte, confrontandoci con amici di altre regioni, abbiamo dovuto spiegare ad esempio che la scopa per noi è da sempre la "granata"? Infiniti sono gli esempi. "Buriana" per indicare tempesta, il "cicchino" per indicare la sigaretta, mentre da sempre ghiaccio è "diaccio", soprattutto per le nostre nonne. E ancora la passeggiata che diventa "girata", la schiena che diventa irrimediabilmente "groppone" fino allo schiaffo. In molte zone di Toscana quest'ultimo non è altro che una "labbrata". Chi ha un naso importante di solito in Toscana ha una "nappa" mentre non è raro usare la parola "punto" per indicare "per niente". Molto arcaica ma ancora conosciuta: la "pezzola" per indicare il fazzoletto o "il tocco" a indicare l'orario delle tredici. E poi c'è l'espressione "Venvia", difficile da spiegare in italiano. E una sorta di "non è vero", quando vogliamo confutare la tesi di un nostro interlocutore. E infine la porta: che per molti toscani è semplicemente un "uscio".