Monica Pieraccini
Economia

Artigianato, “Mancano guadagni e tutele, così chiudono le botteghe. E le città sono meno sicure”

L’intervista a Andrea Panchetti, vicepresidente nazionale di Cna panificatori e dolciari e presidente fiorentino di Cna agroalimentare

Andrea Panchetti

Andrea Panchetti, vicepresidente nazionale di Cna panificatori e dolciari e presidente fiorentino di Cna agroalimentare

Firenze, 22 agosto 2024 – Sempre più fondi chiusi nelle città toscane e sempre più artigiani che rinunciano alla loro attività per cercare impiego come dipendenti altrove. Oppure, arrivano alla pensione senza trovare nessuno disposto a rilevare la loro attività. Come mai accade questo e cosa si può fare per affrontare la situazione? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Panchetti, panificatore, vicepresidente nazionale di Cna panificatori e dolciari e presidente fiorentino di Cna agroalimentare.

Cosa è successo negli ultimi dieci anni?

«Negli ultimi dieci anni è scomparso il 20% degli artigiani. Un calo che ha colpito tutti i settori, dall'artigianato artistico all'agroalimentare. Non si trovano più nemmeno falegnami e ciabattini».

Quali sono i motivi?

«Il principale è che non è più conveniente lavorare in modo autonomo. Le tutele e i servizi assistenziali non esistono: se ci ammaliamo, non abbiamo nessun tipo di assicurazione o garanzia. Poi ci sono i costi di gestione, che sono insostenibili. Negli ultimi tre o quattro anni abbiamo assistito a rincari dell'energia fino al 200%, e sebbene ora siamo a +15%, non siamo ancora tornati ai livelli pre-guerra in Ucraina».

C'è anche un problema di ricambio generazionale?

«Certo. Ma non è vero che i giovani non sono attratti dal lavoro manuale, questa è solo una scusa. Il vero problema è che non c'è ricambio generazionale perché nessuno, tanto meno un giovane di vent'anni, vuole fare un lavoro dove non si guadagna abbastanza, rispetto ai sacrifici che si fanno, e dove e non c'è alcun tipo di assistenza».

Il contratto nazionale del lavoro artigiano è stato però rinnovato di recente...

«Non è sufficiente per incentivare a lavorare in questo settore. Molti artigiani che lavorano in proprio chiudono e vanno a fare i dipendenti, ma nell'industria, dove i contratti offrono maggiori garanzie».

Come siamo arrivati a questa situazione?

«La politica europea favorisce la grande e media distribuzione, emanando leggi tarate su quel tipo di attività. Se un artigiano, una piccola bottega di quartiere, deve mettersi a norma usando nuovi sistemi, o se gli viene richiesto, per esempio, di utilizzare il registratore di cassa elettronico, ha bisogno di consulenti, il che comporta ulteriori costi. Alla fine, se va bene, arriva alla pensione e chiude. E il territorio ne risente, perché gli artigiani erano presidi sociali, si poteva camminare tranquilli per strada con le botteghe aperte fino a tardi. Oggi, invece, restano tanti fondi chiusi, con conseguenti problemi di degrado e sicurezza. Per questo la politica, sia italiana che locale, dovrebbe intervenire».

In che modo?

«Incentivando le nuove aperture. Gli strumenti ci sono: taglio del cuneo fiscale, abbattimento dei costi degli affitti con locazioni agevolate nei primi dodici mesi di attività, investire risorse pubbliche per la rigenerazione urbana. Interventi che non risolverebbero tutti i problemi, ma sarebbero un buon passo per dimostrare alle aziende che lo Stato è parte integrante del loro processo di crescita e non il socio occulto che erode il 40% dei guadagni».