Firenze, 22 novembre 2024 – L’emozione lascia spazio ai dubbi quando si ascoltano le storie dei lavoratori in appalto della Montblanc, finiti sotto i riflettori internazionali grazie a un reportage di Al Jazeera. È una storia che oggi fa il giro del mondo, mostrando il lato oscuro della filiera moda italiana.
Per anni, questi operai – principalmente di origine pakistana – dicono di aver lavorato 14 ore al giorno, in piedi, con una sola pausa di 40 minuti, per un compenso di 3 euro l’ora. Nonostante le condizioni disumane, hanno trovato il coraggio di sindacalizzarsi, ottenendo un contratto regolare, orari dignitosi e una paga decorosa. Ma proprio questa conquista avrebbe segnato la loro condanna: i 70 operai della Z Production e di Eurotaglio, aziende subappaltatrici di Montblanc a Campi Bisenzio, sono stati licenziati, dicono i sindacati, quando hanno iniziato a far valere i loro diritti.
Le lettere di licenziamento hanno colpito selettivamente i lavoratori iscritti al sindacato. “Un atto vergognoso”, denunciano i rappresentanti del Sudd Cobas, Francesca Ciuffi e Luca Toscano, che da mesi chiedono risposte. La produzione è stata trasferita a soli 5,1 chilometri di distanza, in un altro capannone della provincia di Firenze, “dove il lavoro è stato affidato a operai cinesi, anch’essi sottopagati e sfruttati”.
La denuncia di Al Jazeera
Il reportage di Al Jazeera, che inizialmente doveva documentare la filiera della moda italiana, ha svelato la verità dietro le dichiarazioni “etiche” di Montblanc. I giornalisti, fingendosi acquirenti di un capannone in vendita, si sono imbattuti in lavoratori intenti a montare borse Montblanc per 56 euro a pezzo, un drastico taglio rispetto ai 100 euro richiesti alle precedenti aziende dopo la sindacalizzazione.
“Quello che dicevamo, ora ha prove concrete”, hanno commentato i due sindacalisti. “Montblanc non ha spostato la produzione in Asia per evitare un danno d’immagine, ma ha portato in Italia le condizioni di lavoro di quei Paesi”. Il documentario mostra anche come il sistema sia pianificato: prezzi imposti dal brand, lavoro distribuito tramite messaggi WhatsApp, e la mancanza di controllo etico nella filiera.
Un sistema che si ripete
A fine agosto 2024, il capannone in cui lavoravano gli operai cinesi è stato chiuso, come accertato dal Sudd Cobas. “La produzione si è nuovamente spostata altrove, lasciando dietro di sé altre vite spezzate. È una delocalizzazione continua, ma sotto casa”, accusa Toscano, che chiama in causa la Regione Toscana, la quale, pur avendo aperto un tavolo di crisi nel marzo 2023, non ha mai convocato il fondo Richemont – proprietario di Montblanc – per chiedere trasparenza sulle nuove produzioni o proporre il ricollocamento degli operai licenziati. “È tempo di smettere di delegare alla magistratura e di agire come politica”, tuonano i sindacalisti, che chiedono una clausola sociale per i lavoratori della moda, simile a quella in vigore in altri settori. La clausola sociale impedirebbe infatti nel cambio appalto di lasciare i lavoratori senza un’occupazione, riconoscendoli come dipendenti del committente principale. “Se fosse stata applicata, i lavoratori di Z Production e Eurotaglio oggi avrebbero ancora il loro lavoro”, spiegano Ciuffi e Toscano.
Oggi, però, quei 70 operai sono senza prospettive, e il silenzio delle istituzioni non fa che amplificare la loro frustrazione. “I grandi marchi non possono fingere di non sapere come vengono realizzati i loro prodotti”, conclude Toscano. “Questa ipocrisia deve finire, e la politica deve alzare la voce contro i fondi finanziari che sacrificano vite per il massimo profitto”.