Firenze, 7 gennaio 2025 - Settecento negozi chiusi in un solo anno: il 2024 segna una battuta d'arresto preoccupante per il commercio in Toscana. Si tratta di un dato che non si limita a indicare una perdita economica, ma che racconta un impoverimento del tessuto sociale e culturale del territorio. Ogni saracinesca abbassata rappresenta una storia che si spegne, un pezzo di comunità che scompare, lasciando un vuoto difficile da colmare.
Secondo Franco Marinoni, direttore di Confcommercio Toscana, il dato delle chiusure è emblematico di un problema più profondo. “Le nuove imprese, pur rappresentando un segnale positivo di vitalità economica, scontano un’estrema fragilità: oltre il 50% non supera i primi tre anni di vita”, spiega Marinoni. “Spesso queste attività nascono in sostituzione di aziende consolidate, chiuse al pensionamento dei titolari, ma non riescono a colmare il vuoto economico, occupazionale e produttivo che lasciano. È un fenomeno preoccupante, acuito dalla rapidità dei cambiamenti sociali, demografici e urbani”. “Per affrontarlo - prosegue Marinoni - serve un impegno congiunto per rafforzare competenze manageriali, innovazione e politiche che garantiscano la sostenibilità e l’attrattiva delle città, a beneficio di residenti e turisti”.
Il valore dei negozi storici: una perdita che colpisce tutti
La chiusura di ogni negozio storico è una perdita che va oltre l’economia. A sottolinearlo è Serena Vavolo, presidente di Confartigianato Imprese Firenze. “Non sono solo luoghi di commercio: sono spazi di incontro, dialogo, trasmissione di saperi antichi. Penso, ad esempio, alla recente chiusura della merceria Albertina a San Lorenzo, che per generazioni è stata un punto di riferimento per i fiorentini. Penso a Bartolozzi e Maioli in Oltrarno che da gennaio 2025 esce dal giro di produzione. Questi luoghi davano un senso di appartenenza, alimentavano il tessuto sociale della città. Oggi, purtroppo, quel senso si sta perdendo, sostituito da un anonimato che ci rende tutti un po’ più soli”.
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Le cause? “Molteplici”, risponde Vavolo. “Il cambiamento delle abitudini di consumo, la difficoltà di competere con i grandi colossi dell’e-commerce e, non meno importante, la scelta delle nuove generazioni di intraprendere strade diverse da quelle del commercio familiare. È comprensibile che i giovani cerchino alternative che garantiscano stabilità e meno sacrifici, ma è altrettanto vero che le botteghe storiche offrono spazi di realizzazione personale e professionale che meritano di essere riscoperti”. “Salvare le botteghe non è solo un atto di nostalgia: è una scelta di futuro, per preservare l’unicità dei nostri territori e restituire ai giovani una prospettiva concreta di realizzazione”, conclude la presidente di Confartigianato Imprese Firenze.
Le proposte per rilanciare il commercio
Sono due le proposte per sostenere il commercio di vicinato che arrivano da Confesercenti Toscana. “La prima, sulla quale stiamo lavorando e che abbiamo già presentato al governo -afferma Nico Gronchi, presidente regionale di Confesercenti – è un Fondo speciale per la rigenerazione urbana. Alimentato da un aumento dell’1% della Web Tax, questo fondo potrebbe mettere a disposizione circa 500 milioni di euro per sostenere il commercio e il terziario, con un focus particolare sui centri storici e le aree più fragili”. L’altra proposta è quella di investire e quindi ripopolare le periferie, i piccoli centri, i comuni montani, le zone più remote della Toscana, tornando ad offrire servizi alla popolazione.
Un altro elemento chiave per rilanciare il commercio è rappresentato dagli eventi. “Dove gli eventi funzionano, il commercio funziona”, afferma Gronchi. Iniziative e manifestazioni organizzate nei piccoli centri hanno dimostrato di poter attrarre flussi di persone. Infine, occorre riequilibrare il sistema fiscale. “Siamo di fronte ad una concorrenza sleale, quella dei colossi del web, che pagano il 15% di tasse, una percentuale nettamente inferiore a quella pagata dalle imprese toscane”, conclude il presidente di Confesercenti Toscana.