Orario part time nelle mense, 2 lavoratori su 3 lo subiscono. L’indagine della Fisascat-Cisl Toscana

“Il part time – afferma il sindacato – espone al rischio di povertà lavorativa, soprattutto se imposto. Urge trovare soluzioni contrattando e con la bilateralità: il salario minimo del tutto inefficace”

Part time involontario, un fenomeno diffuso tra i lavoratori della ristorazione collettiva e del turismo

Part time involontario, un fenomeno diffuso tra i lavoratori della ristorazione collettiva e del turismo

Frenze, 8 luglio 2024 – L’orario part time nella ristorazione in Toscana? In due casi su tre i lavoratori lo subiscono, non lo scelgono. E’ quanto emerge da un’indagine svolta da Istel e Fisascat-Cisl Toscana su un campione di 130 addetti, in grandissima parte donne. Il dato è stato diffuso durante i lavori del convegno dedicato al ‘Part-time involontario nel settore turistico” che il sindacato Cisl del settore commercio, turismo, servizi ha organizzato a Firenze, insieme all’Ebtt, cioè l’Ente bilaterale turismo toscano, ed a cui hanno preso parte, tra gli altri,  il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, il presidente di Federalberghi Toscana Daniele Barbetti e il segretario generale aggiunto della Fisascat nazionale Vincenzo Dell’Orefice.

Nella regione 248mila occupati lavorano part time

In Toscana, l’incidenza del part time è del 19,7% sul totale degli occupati, oltre due punti percentuali in più rispetto alla media nazionale: 248 mila donne (il 77,4% del totale e per cui è una modalità di lavoro diffusa in tutte le fasce di età) e uomini (tra i quali è diffuso soprattutto tra i più giovani) che lavorano con orario ridotto. Al part time si fa ricorso in percentuali molto diverse a seconda del settore, a conferma, spiega la Fisascat Cisl, che si tratta più di una modalità imposta dai datori di lavoro che richiesta dai lavoro: 9,2% nelle costruzioni, 16,4% nel manifatturiero, 38,2% nel commercio, 50,6% nei servizi di alloggio e ristorazione. L’Istat stima nel 59,2% la quota di part time involontario in Toscana (contro il 57,9% italiano): sul totale degli occupati toscani, uno su 10 ha un contratto a tempo parziale, ma vorrebbe lavorare a tempo pieno.

Un quadro confermato, al rialzo, dall’indagine sul campo che ha riguardato la ristorazione collettiva e, pur con un campione non rappresentativo, ha offerto, sottolinea il sindacato, «uno spaccato interessante di un settore specifico». Il gruppo era composto per l’81,5% da donne e aveva un’età media di 44 anni. Il 66,9% di loro subisce il part time. Tra il 33,1% che invece ha scelto l’orario ridotto, la metà circa lo ha fatto per avere più tempo per sé e per la famiglia, l’altra metà per problemi legati ai servizi alla famiglia: troppo costosi, con orari rigidi, non adeguati per conciliarsi con un lavoro full-time.

La maggior parte di queste lavoratrici e lavoratori sono occupati da molti anni nella stessa azienda, si tratta quindi di un lavoro stabile, ma parziale. Inoltre, al 74% degli addetti viene abitualmente chiesto lavoro supplementare, al 69% di prolungare l’orario di lavoro della giornata, al 56% di modificare i turni, non sempre con adeguato preavviso. In molti casi gli addetti di questo settore, anche se con un part time, hanno orari misti o spezzati e quindi, pur lavorando poche ore sono ‘impegnati’ per l’intera giornata. Il 46,2% delle intervistate, inoltre, ha sempre lavorato a tempo parziale, aggiungendo al rischio di povertà lavorativa oggi, quello di povertà previdenziale all’età della pensione.

Fisascat-Cisl: “Salario minimo inefficace in questo settore”

«Con il ricorso al part time - afferma Alessandro Gualtieri, segretario generale della Fisascat-Toscana, commentando i dati dell’indagine - le aziende hanno flessibilizzato il lavoro, rispondendo alle proprie esigenze, ma creando spesso nuovi lavoratori poveri: e le responsabilità sono anche in capo ai committenti di certi servizi, come accade per le mense. La presenza di lavoro povero nel turismo dipende da questo e dalla stagionalità, che per tanti lavoratori non sono una scelta, ma una condizione subita». «E’ evidente dunque - prosegue Gualtieri - che parlare di salario minimo in questo settore è solo abusare di uno slogan, perché sarebbe una misura totalmente inefficace. Bisogna invece cercare soluzioni attraverso la contrattazione e la bilateralità. Le imprese devono capire che non possono scaricare tutto il peso sui dipendenti, perché è ingiusto e perché così continueranno ad allontanare i lavoratori da questo settore. Troppe volte quelle di chi non trova addetti per le sue attività, sono lacrime di coccodrillo. Occorre poi intervenire anche sul fronte delle politiche pubbliche, perché le misure di accompagnamento alla conciliazione vita-lavoro non sono più adeguate al mondo del lavoro e agli orari di oggi».