STEFANO VETUSTI
STEFANO VETUSTI
Economia

La Sinistra americana: "La nostra ricetta per una società senza disoccupati"

L'economista Usa Tcherneva spiega il piano per un posto garantito

Pavlina R. Tcherneva

Firenze, 29 ottobre 2018 - Un salto in avanti. Una scossa. Una ricetta diversa, per percorrere una strada nuova e restituire dignità a coloro che sono senza lavoro. La proposta, lanciata da Bernie Sanders, trova consensi negli Stati Uniti e incontra favori in Europa, rilanciata di recente dall’autorevole quotidiano londinese The Guardian.

Si chiama Job Guarantee, che si può tradurre come garanzia di un posto di lavoro. Da dare a tutti coloro che un lavoro non ce l’hanno. Per cancellare la disoccupazione. Lo Stato che diviene datore di lavoro di ultima istanza. Attenzione, garanzia non a quel posto di lavoro, ma a un posto di lavoro minimo, dignitoso, retribuito in misura ragionevole. La ricetta di Sanders accoglie il lavoro dell’economista Pavlina R. Tcherneva, consulente del politico democratico. E’ stata a Firenze pochi giorni fa, su iniziativa della Cgil, ospite della Banca Etica di via Calzaiuoli per un incontro proprio su questo tema. 

Professoressa Tcherneva, l’idea del Job Guarantee non è nuova, circolava già un secolo fa. Come mai torna in ballo e trova consensi oggi?

«E’ vero. L’idea di dare un lavoro a chiunque ne abbia bisogno e garantire quindi un reddito dignitoso è una idea che risale indietro nel tempo. Oggi assistiamo a un nuovo interesse per questo programma. Questo per certi versi potrebbe sorprendere perché la disoccupazione ufficiale è bassa negli Stati Uniti, al 3,7%, l’economia va bene, tutti dicono che siamo in una situazione di pieno impiego eppure c’è appetito per questo programma del Job Guarantee (sorride...)».

Come mai?

«Perché dietro le cifre c’è una larga fascia di popolazione che non ha reddito, una fascia nascosta alle stime ufficiali, che fa i conti con una disoccupazione molto alta, ci sono zone depresse, tanti che vivono ai margini. Ecco, noi cerchiamo una nuova soluzione».

La vostra proposta porta a ripensare il ruolo dello stato.

«Già negli anni Trenta del secolo scorso ci sono state riforme sociali che hanno garantito una rete di protezione ai cittadini, pensiamo al salario minimo, alla pensione, alle 40 ore settimanali... Oggi va fatto un altro grande salto in avanti, la riforma delle politiche degli stati. Roosevelt parlava di diritto al lavoro per tutti i cittadini, bisogna finire il lavoro iniziato allora...».

In che modo?

«Se il problema sono i senza casa allora diamo loro una casa; se è la fame diamo cibo; se manca l’accesso alle cure mediche garantiamo questo accesso. Ma se qualcuno ha bisogno di un lavoro non gli diamo un lavoro! Gli diamo forse una indennità, un corso di formazione... Ma non un lavoro».

Che tipo di lavori prevede il Job Guarantee?

«Il Job Guarantee è un piano nazionale di cura dell’ambiente, della comunità, delle persone, mirato ai bisogni più urgenti, sociali, economici, ambientali, alle aree più depresse. I lavoratori potranno essere impiegati nei servizi alla persona, per bambini e anziani, in programmi di riqualificazione delle comunità, rivolti ai giovani a rischio, nei servizi culturali. In questo piano anche il terzo settore può avere un ruolo importante».

Quanto guadagna un lavoratore con il Job Guarantee?

«Lo stipendio proposto è 15 dollari l’ora. All’anno un lavoratore guadagnerà 31200 dollari. Poi ci sono benefit del 20% per assicurazione sanitaria, cura dei figli, congedo retribuito, pensionamento...».

Da un punto di vista macroeconomico come spiega il Job Guarantee?

«Una economia cresce, poi rallenta, quindi cresce di nuovo e così via. La disoccuopazione si muove nel modo opposto, quando l’economia cresce diminuisce, quando l’economia va in crisi aumenta. Funzione in sostanza come uno stabilizzatore dell’economia. Se una economia va troppo forte bisogna rallentarne il passo per evitare che salga l’inflazione, così si aumentano i tassi di interesse. L’economia rallenta, vengono sacrificati posti di lavoro. L’economia quindi viene stabilizzata sulle spalle di chi lavora. E’ un approccio non etico. Noi vogliamo offrire un’alternativa umana».

Cioè?

«Se l’economia va male come sappiamo le imprese licenziano. I licenziati chiedono un lavoro. Possiamo dar loro una indennità ma è un lavoro ciò che chiedono. L’idea è quindi dar loro un lavoro, minimo, con un salario dignitoso, fino a quando non troveranno un lavoro migliore, fino a quando magari l’economia riparte. In sintesi, ci sono due opzioni da cui scegliere: o la disoccupazione aumenta e si riduce quando l’economia fa l’opposto, oppure usiamo il Job Guarantee che aumenta o diminuisce seguendo le fasi dell’economia».

Un piano di Job Guarantee costa molto. Chi lo finanzia?

«Quando si parla di disoccupazione pensiamo al suo costo solo in termini finanziari. Senza considerare i costi sociali, che sono molto maggiori. Le ricerche indicano che molti problemi sociali sono legati in un modo o in altro alla disoccupazione, dai senza casa alla malnutrizione dei bambini, ai probleimi di salute fisici e mentali, all’aumento di certi crimini. E quando uno è licenziato ne soffrono anche i suoi familiari. Tutto ciò costa allo Stato. Molto di più di quanto costerebbe il Job Guarantee. C’è dunque un modo migliore per risolvere il problema: dare un lavoro a chi non lo ha».