
La direttrice de La Nazione Agnese Pini
Firenze, 8 agosto 2021 - C'è una battuta spassosa che circola da qualche giorno sui social network e nelle chat. Più o meno fa così: «Solo una cosa voglio sapere: campioni d’Europa di calcio, finale a Wimbledon, uomo più veloce del mondo, uomo che salta più in alto di tutti, donna più veloce nella marcia, staffetta oro nella 4x100 maschile... Ma in quei vaccini che c’avete messo?».
Lo sketch funziona soprattutto perché i successi nello sport e il palcoscenico che ci viene restituito sui giornali più prestigiosi di mezzo globo – con annesse critiche e invidie velenose, a certificare l’enormità dei risultati ottenuti – sono l’elisir migliore che il nostro Paese potesse augurarsi.
Non solo per stemperare le tensioni sociali che stanno attraversando l’Italia in faticosa uscita dalla pandemia, ma anche per restituirci un orgoglio patrio di cui sentivamo la mancanza. Abbiamo passato gli ultimi anni a cantare il de profundis di una nazione che sembrava destinata, in un rapido declino, a perdere i suoi primati: nell’economia, nell’industria, nell’arte, nella musica (a proposito, quest’anno abbiamo pure vinto l’Eurovision Song Contest, che non riportavamo a casa da 31 anni).
Il Covid aveva dato il colpo di grazia alla fiducia in noi stessi: siamo stati il primo Paese travolto dalla pandemia in Europa, per qualche settimana sembravamo anche l’unico, e qualcuno non ha mancato di definirci “untori”.
Poi la fuoriuscita dal lockdown, la debolezza di una classe politica in conflitto perenne, la sensazione di non riuscire ad avere più una visione a lungo raggio del Paese. Ma anche qui, le inattese svolte: il Recovery Fund ottenuto dal governo giallorosso nel luglio del 2020, e poi a febbraio l’arrivo del premier Draghi, che l’Europa considera possibile degno successore di Angela Merkel come guida (quantomeno morale) dell’Unione, ci hanno consegnato un attestato di stima politica che da decenni mancava.
E allora che cosa è accaduto? Ma soprattutto, saremo in grado di raccogliere, conservare e far moltiplicare i frutti di questa stagione nuova? La risposta può arrivarci dai successi dello sport, dove le vittorie non sono mai casuali, né ascrivibili solo all’exploit del talento dei singoli. No.
Quando una nazione inanella una sequela così importante e sistematica di successi e primati, significa che quella nazione ha saputo investire risorse ed energie, ha saputo applicare lungimiranza e impegno in un progetto, quello sportivo, che certifica anche lo stato di salute di un Paese (non a caso le classifiche delle medaglie olimpiche sono da sempre usate come termine di paragone fra le grandi potenze del mondo).
Quindi: abbiamo saputo con fatica educare, allenare, coltivare. Tanto nello sport quanto in altri ambiti. E abbiamo capito – e le Olimpiadi dimostrano anche questo – che per vincere in tutti i sensi un Paese, un grande Paese, ha bisogno di contaminazione, apertura, multiculturalismo, visione e accoglienza globale. Nello sport e nella vita: è questo il vero pane del successo. Chi si chiude, è destinato a restare piccino.