Cosimo Ceccuti
Editoriale
Editoriale

Dramma astensione

Neppure Firenze, ahimè, si è sottratta, in occasione del ballottaggio al dramma crescente delle astensioni. Siamo scesi al di sotto del 50% di elettori recatisi a votare (47,71%), rispetto al 62,83% registrato al primo turno. Ciò significa che, cifre alla mano, la maggioranza assoluta degli aventi diritto – nonostante i continui appelli provenienti da più parti – ha mostrato indifferenza su quale fra i due candidati fosse chiamato ad amministrare Firenze per cinque anni. E dire che i fiorentini sono quanto mai attaccati alla loro città, con antico e forte spirito di campanile, pronti a confrontarsi e a dividersi come i guelfi e ghibellini sugli annosi problemi come lo stadio e l’aeroporto. Non basta supporre che alcuni dell’una o dell’altra parte abbiano ritenuto il divario riscontrato il 9 giugno così marcato – 10 punti percentuali – da rendere improbabile il cosiddetto «ribaltone»; e non è neppure sufficiente giustificare le tante assenze con il ponte di San Giovanni, fra l’altro bagnato dalla pioggia fin da domenica mattina. Nonostante la vivacità e l’impegno con cui è stata condotta la campagna elettorale si assiste ad una disaffezione crescente non limitata solo alle consultazioni per il Parlamento europeo (un’Europa «lontana», ancora da rendere convincente e funzionale), ma anche a quelle amministrative, dove il rapporto è diretto fra chi vota e chi viene eletto, con i problemi tangibili che ci riguardano tutti. Non ci dobbiamo adeguare a un fenomeno in apparenza irreversibile; il diritto di voto, che – non dimentichiamolo – è anche un dovere, rappresenta la massima espressione della sovranità popolare, da esercitarsi costantemente se non si vuole compromettere il sistema democratico faticosamente conquistato. C’è da chiedersi cosa possa essere fatto per arrestare il processo di distacco, a chi spetti il compito di riavvicinare gli elettori alla politica. È comunque importante dedicare maggiore attenzione all’educazione civica, specie per le generazioni più giovani, incrementare le forme di dialogo e di partecipazione, restituire centralità ai partiti. Sarà sufficiente?