FRANCESCO CARRASSI
Editoriale

Giustizia, Sos mafia

L'editoriale

Firenze, 4 febbraio 2018 - Emerge drammaticamente nella gestione amministrativa della macchina della Giustizia italiana il «caso Prato». Quello che purtroppo accade, a fronte dell’abnegazione dei magistrati e del personale, in quel tribunale e in quella procura, merita un capitolo ad hoc. E quando parliamo del «caso Prato», un caso sui generis nazionale in tutto e per tutto, vogliamo evidenziare la necessità del contrasto alla criminalità organizzata, alla mafia cinese. Che ha sempre preoccupato certo, ma che ora sta assumendo connotati a dir poco inquietanti. Lo dicono le ultime brillanti indagini della polizia giudiziaria e il monitoraggio sulle nuove mafie: la criminalità cinese non ha solo una crescita esponenziale, ma addirittura un salto di qualità come radicamento sul territorio e pericolosità. Un balzo in avanti che mette a dura prova – l’ammissione del procuratore generale di Firenze Marcello Viola è stata tanto realistica e veritiera quanto disarmante ma non rinunciataria – l’apparato chiamato a contrastare quanto messo in luce dalla recente operazione «China Truck».

Non è un problema nuovo, di nuovo c’è invece l’estensione dei tentacoli di questa piovra di importazione extracomunitaria, che si affianca, nel cartello delle organizzazioni criminali, alle altre mafie nostrane e importate, da quelle dell’Est europeo a quelle africane e nigeriana in particolare. C’è da dire: non ci bastavano e avanzavano le nostre? A questa offensiva che, come i virus e i batteri si rafforzano sempre di più attenuando gli effetti degli antibiotici, non fa riscontro una risposta efficace per contrastarla. Perché la struttura della Giustizia nel circondario di Prato non solo non ha uomini e mezzi per combattere adeguatamente questa battaglia di legalità ma è costretta a dover fare i conti con un’impotenza inversamente proporzionale alla situazione allarmante. La denuncia non è nuova mentre è nuova la recrudescenza che richiede risposte all’altezza come ha sottolineato il procuratore capo di Prato Giuseppe Nicolosi. I carichi di lavoro sono pesanti, non si abbassa mai la guardia, ma non si riesce a smaltirli in tempi ragionevoli, segno che a situazioni straordinarie bisogna, e non bisognerebbe, rispondere con mezzi straordinari. Ci sembra questa un’ovvietà ma evidentemente la questione non è presa di petto come dovrebbe dallo Stato: non ci si può permettere di lasciare che situazioni di grave allarme sociale continuino a prosperare. Chiediamo con forza e con la dovuta determinazione che sul «caso Prato» sia messa la lente di ingrandimento per la sua eccezionalità. Che lo Stato ci sia e ci sia davvero dimostrando che è più deciso e forte della criminalità. Diamo, insomma, il significato dovuto alle parole e trasformiamole in interventi tali che suonino come campanelli di allarme per i criminali e le loro organizzazioni. Si può fare? Sì, se c’è consapevolezza e volontà.