UMBERTO RAPETTO*
Editoriale

Ormai il furto dei dati vale come un’industria

Lo Stato deve avvalersi di strumenti più efficaci

Il generale Rapetto. Ormai il furto dei dati vale come un’industria

Lo Stato deve avvalersi di strumenti più efficaci

Roma, 28 ottobre 2024 – La fase artigianale del dossieraggio è ormai è superata, addirittura in curva con striscia continua e su una strada ripida e stretta. E i protagonisti del sorpasso epocale hanno pure parcheggiato in doppia fila.

L’industrializzazione del furto di dati nei più corazzati armadi virtuali del Paese è la dimostrazione che – se esportassimo questo genere di attività – potremmo far impennare il Pil come un quattordicenne il suo motorino smarmittato.

In questa grottesca situazione è persino difficile trovare un incipit per descrivere il disgusto nel dover constatare come sia arrivato al capolinea il nostro Paese in questo ambito.

Chi conosce il mondo delle investigazioni e dell’intelligence sa bene che le informazioni sono il foraggio di cui vanno ghiotti anche semplici malfattori e incalliti delinquenti professionisti. I dati sono il nuovo oro nero e purtroppo il loro contrabbando è talmente redditizio da consentire alle organizzazioni criminali di “convincere” chi ha in custodia quei tesori di orientare illecitamente le proprie opportunità di lavoro a vantaggio di un terzo.

Fascicoli e raccolte di notizie incrementano il loro valore non appena l’immaginario sandwich conoscitivo viene farcito con qualcosa che non tutti possono avere o sapere. Non si tratta di immaginare chissà quale ricetta, ma l’importante è comprare gli sherpa che siano in grado di recapitare cassette e scatoloni zeppi di leccornie esclusive.

Il recruiting di soggetti disponibili è facilitato dalla generosità del reclutatore e della straccionaggine di chi si prodiga a violare le leggi pur indossando i panni di tutore dell’ordine o di altro ente istituzionale. La rete di “poco di buono” si costruisce in fretta e basta aver buona memoria degli ex colleghi in difficoltà economica o ambiziosi di raggiungere un diverso tenore di vita.

Una volta schierato il proprio esercito di mercenari del bit e assegnato a ciascuno un ruolo e un obiettivo, le associazioni per delinquere – mirate a schedare persone indicate dal committente oppure impegnate a “catalogare” grandi masse di individui che un domani potranno far comodo – devono solo fare i conti con il terreno di gioco.

La partita si vince se la squadra avversaria (lo Stato nella fattispecie) ha gente che fa gol nella propria porta, ma soprattutto se gli strumenti di controllo non funzionano oppure sono efficienti ma non efficaci...

Certe “banche dati” sono ad accesso esclusivo, riservato ad operatori autorizzati. L’operato di ogni “terminalista” (come li si chiamava un tempo) è rigorosamente tracciato e i “log di sistema” ne registrano ogni singola interrogazione ed azione. Sotto il profilo teorico non si scappa, ma purtroppo bisogna fare i conti con la realtà.

Il tempo per dare suggestive proprie versioni è scaduto. Gli esperti dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale sapranno certamente trovare la soluzione e i consulenti di Palazzo Chigi e Viminale daranno un contributo qualificato. Il cittadino aspetta qualche risposta. Almeno prima che scoppi il prossimo scandalo.

* Generale Guardia di Finanza, già Comandante del GAT Gruppo Anticrimine Tecnologico