Firenze, 18 febbraio 2024 – Come si può pensare di essere alfieri delle sfide del terzo millennio (transizione digitale, sostenibilità) se il nostro sistema di lavoro mostra tutta la sua precarietà? Una filiera in cui operai vengono impiegati non tanto per formazione ed esperienza professionale, ma principalmente per la capacità di adattarsi alle esigenze di chi dà lavoro, per la resistenza, passando da un cantiere all’altro in pochi giorni, guadagnando poco e soffrendo molto. Sì, può accadere anche questo mentre gonfiamo il petto se il Pil italiano è migliore di quello tedesco e l’export regge a fronte di pandemia, guerre e inflazione. La strage degli operai di Firenze ha spalancato un mondo e ci ha fatto tornare alla mente il lavoro a cottimo. Lo scenario viene fuori dalle prime testimonianze degli operai, dalle storie di chi è morto, dalle denunce dei sindacati. Il figlio di Cristinel, uno dei feriti, ha raccontato: “Da Castelfranco Veneto a Firenze, un lavoro che serve a malapena a guadagnare il pane. Mio padre lavora per una ditta che lo manda una settimana in un cantiere e la settimana dopo in un altro”. Gli operai nordafricani morti erano arrivati da paesi vicini a Brescia. “Trasfertisti” in Italia dopo essere stati migranti. Per essere sepolti dal cemento armato.
C’è una mamma che non ha più lacrime per piangere quando c’è un morto sul lavoro. Un orditoio ha inghiottito la figlia, Luana. Emma Marrazzo si batte per una nuova legge, quella dell’omicidio sul lavoro (e lesioni gravi e gravissime). Una legge per fare innalzare il livello di responsabilità così come ha fatto l’introduzione della norma sull’omicidio stradale. È stato un deterrente? Piangiamo ancora troppi morti sulle strade. Ma almeno le pene sono più severe. Così dovrebbe avvenire per il lavoro che uccide. Ebbene la mamma di Luana è spesso sola a raccogliere le firme per la legge di iniziativa popolare. È sostenuta da un sindacato di base e stop. Dove sono i partiti che il giorno dopo le tragedie dicono che bisogna fare di più? Anche Stefano Massini si batte. A Sanremo ha evidenziato l’emergenza sicurezza sul lavoro. Applausi. Poi l’ennesima tragedia. Non mollerà. Si merita altri applausi. Qualcosa si può fare? Sì. Le norme ci sono, altre forse arriveranno (oggi la ministra Calderone sarà a Firenze). Bisogna farle applicare però, altrimenti restano buone intenzioni. Come? Lo dice, ad esempio, il "Progetto lavoro sicuro” messo in campo a Prato dopo la morte nella ditta cinese ’Teresa moda’ di sette operai nel 2013: forte sinergia tra Procura e Asl. Controlli a tappeto, multe, inchieste. Il ribaltone a favore della sicurezza c’è stato. Nel frattempo, come dice padre Bernardo Gianni, nessuno rimanga indifferente: rifletta, si indigni e reagisca. È già un primo passo.