La “grossa” manovra di bilancio appare migliore degli improvvidi annunci. Il che conferma che il governo deve parlare solo con i fatti. E il fatto, nelle sue grandi linee, corrisponde a un ambizioso disegno di risanamento dei conti pubblici, a obiettivi di crescita economica e demografica, a esigenze di protezione sociale.
La riduzione del deficit si dovrà accompagnare all’incremento dell’avanzo primario, ovvero al netto degli interessi, così da rendere credibile il percorso di abbattimento del debito. La crescita è affidata soprattutto alla continuità degli investimenti finanziati dal Pnrr e alla riduzione strutturale della pressione fiscale. In un contesto di bassi salari e di bassa produttività, auguriamoci di trovare la semplificazione della norma giacobina che detassa i premi ai lavoratori solo quando corrispondono a incrementi di produttività sull’anno precedente. Vi sono circostanze di tempo e di luogo che dovrebbero far apprezzare anche il mantenimento di una buona produttività.
Quanto alla spesa sociale, la natalità è davvero incoraggiata in termini di clima culturale e di risorse, la sanità non è mai stata imbottita di soldi come ora. Speriamo che lo storico “tavolo” di monitoraggio delle Regioni presso il Mef non faccia sconti e imponga a tutti i servizi sanitari regionali la transizione verso i modelli più efficaci ed efficienti. Spesso in sanità vale il paradosso per cui l’aumento dei fondi, finanziando una offerta disordinata, non fa più salute. Per la previdenza le novità sono su tre linee: incentivare la permanenza al lavoro di chi potrebbe andare in pensione, garantire una flessibilità di uscita ancorché scoraggiata, dare impulso ai fondi integrativi di fonte contrattuale. Le coperture, tra contributo “spintaneo” delle banche e tagli selettivi delle detrazioni, si rivelano difficili da contestare. Insomma, meglio predicare male e razzolare bene che il contrario.