FRANCESCO CARRASSI
Editoriale

Morire di lavoro

L'editoriale

Firenze, 1 aprile 2018 - Sconcerto. E’ questo il primo sentimento che si prova quando si ripete una tragedia sul lavoro. Ti dici che è incredibile perdere la vita quando lavori. E le morti, come avvenuto nel porto di Livorno, non sembrano neppure spiegabili. Non hanno senso. Possibile? Sì, è dannatamente accaduto ancora una volta. E ti chiedi se sarà l’ultima, ma sai che non c’è risposta. Sai, per esperienza, che la morte come terribile conseguenza di un infortuno sul lavoro è sempre in agguato perché i numeri che lo confermano sono impietosi. Con tutti i dolori e le responsabilità che conseguono. Rileggo dai dati nazionali Inail le denunce di infortunio con esito mortale, sia quelli avvenuti mentre si lavora, sia quelli avvenuti mentre si va o si torna dal lavoro. Restano impressionanti. Se quelli sul posto di lavoro sono stati di meno (746) nel 2017 rispetto a quelli del 2016 (749), i totali invece rilevano dal 2016 al 2017 un aumento da 1018 a 1029. Dietro a ogni numero c’è una persona che perde la vita quando è a lavorare, che la perde per lavorare; c’è una famiglia, ci sono gli affetti, ci sono le conseguenze economiche. Un disastro. 

Ma siamo sicuri che si faccia davvero tutto quello che si deve per garantire la tutela sui luoghi di lavoro? Credo proprio di no. «Proprio perché non esiste il rischio zero infortuni – ha ricordato il presidente della Regione Toscana Rossi – l’attenzione e l’impegno non devono mai venir meno», non devono mai neppure affievolirsi. Poiché è il risultato che alla fine conta ogni volta che avviene un infortunio mortale dobbiamo dirci che no, che è evidente che non si è fatto tutto, altrimenti non sarebbe accaduto. E’ vero che la crisi ha spostato l’attenzione più sulla mancanza di posti di lavoro che sulla qualità del lavoro ma questo non può essere una scusa, un alibi. Entrambi sono questioni importanti ma nella scala dei valori la persona e la sua vita hanno l’assoluta inderogabile, precedenza, con la guardia che deve essere tenuta in alto in maniera continua. E con essa l’attenzione, il rispetto delle leggi, che deve essere rigoroso.

Le leggi antinfortunistiche sono nate su esperienze tragiche, quelle che hanno fatto affinare il più possibile le regole e gli strumenti, i controlli e le sanzioni. Non ricordiamolo solo quando siamo scossi dalle tragedie. Proprio per rispetto ai morti, a queste non a caso chiamate morti bianche, dovremmo imparare le lezioni ma soprattutto dobbiamo metterle in pratica. Tutti. Sì, perché, condivido quanto ha detto Stefano Boni del sindacato Fit Cisl, «non possiamo andare avanti così. Le imprese, le istituzioni, tutti i soggetti preposti non devono mai dimenticarsi, nemmeno per un minuto, di mettere al centro della loro attenzione la sicurezza nei luoghi di lavoro. Per non continuare a piangere morti, come siamo costretti a fare oggi».