FRANCESCO CARRASSI
Editoriale

La questione giustizia

L'editoriale del direttore della "Nazione"

Firenze, 24 febbraio 2019 - La percezione che si ha dell’amministrazione della giustizia in Italia non è delle più rassicuranti. Basterebbe pensare solamente, come aspetto emblematico, la faticosa e incompiuta transizione dal sistema inquisitorio a quello accusatorio, per capire quanto sia complicato riformarla in linea con i Paesi più avanzati. E’ d’altronde il fattore culturale, a cominciare dalla stessa mentalità dei magistrati, che dovrebbe fornire il terreno fertile per una riforma adeguata. Non basterebbe neppure un rapporto sterilizzato tra politica e giustizia, figuriamoci se si parte dal presupposto dei rapporti di forza. La stessa netta separazione tra requirente e giudicante, potente terreno di scontro, resta una impresa impossibile. Non ci dobbiamo meravigliare se la delegittimazione istituzionale ha qui uno dei suoi punti nodali. I soli estenuanti tempi di denegata giustizia, che accumula anni, sono già di per sé sufficienti a dare spazio alle polemiche sulla così detta «giustizia a orologeria», che si ritiene fin troppo puntuale con le scadenze della politica.

Senza entrare nel merito dell’inchiesta condotta dalla procura di Firenze sui genitori di Matteo Renzi, proponiamo alcune riflessioni sul nostro sistema giudiziario. Ricominciamo allora dai tempi. La richiesta del sostituto procuratore è dell’ottobre 2018, l’esecuzione accordata dal giudice delle indagini preliminari di pochi giorni fa. Tutto normale? Gli addetti ai lavori parlano di tempi ‘tecnici’ compatibili. In base a questa replica non ci sarebbe stato quindi nessun provvedimento «a orologeria», ma se il periodo tra la richiesta del pm e il via libera del gip fosse più contenuto renderebbe o no più efficace la sinergia operativa tra l’indagine e i provvedimenti conseguenti? Probabilmente sì. In caso contrario il solo scorrere del tempo è ovvio che presti il fianco alle ‘interpretazioni’ . Altro punto dolente è la carcerazione. La questione Renzi padre e madre fa riflettere anche sull’aspetto della proporzione tra i capi di imputazione e la limitazione della libertà personale. Illuminante la posizione dell’avvocato Giulia Bongiorno, ora ministro: “In Italia sicuramente il tema della custodia cautelare va affrontato, perché spesso si va in carcere prima del processo e non dopo. Non ho letto le carte e dunque non so se in questo caso possa essere giustificata la custodia cautelare. Ma, ripeto, il tema di una giusta motivazione delle esigenze cautelari potrebbe essere importante da affrontare”.

Date le premesse e il vissuto dei tentativi di riforma in un Paese nel quale perfino la certezza della pena è strutturalmente incerta, caro ministro, sulla strada dal dire al fare troviamo, quasi sempre, l’incognita dell’impotenza. Resta la questione del rapporto tra gli atti della giustizia e la pubblica opinione che, al di là del garantismo, fondamento stesso di civiltà giuridica ma utilizzato a corrente alternata, sarebbe il caso di rendere sempre più trasparenti alcuni passaggi. Soprattutto quando i riflettori non solo sono accesi ma sono ‘incandescenti’ su certe decisioni. I magistrati possono rendere più chiare, nei modi adeguati al segreto e alla riservatezza, le azioni presupposte ai provvedimenti per cancellare dubbi, interrogativi, parole sospese, equivoci veri o creati ad arte?