FRANCESCA CAVINI
Cronaca

Le api sono in pericolo: “Le porto in montagna per disintossicarle. E avere la produzione”

L’apicoltore Stefano Parisi ha scelto il metodo di allevamento nomadista. “Il clima è cambiato e ci obbliga a trovare nuovi approcci se vogliamo che continuino a vivere”

Parisi con i suoi apiari

Parisi con i suoi apiari

Cerreto Guidi, 15 dicembre 2024 – E se ce ne fregassimo delle api? Se lasciassimo che il loro sterminio si compia senza darci pensiero di cosa significherà la loro scomparsa per piante e animali? Se lasciassimo progredire la sistematica distruzione operata contro le api da pesticidi, fitofarmaci, legislazioni inique e specie predatorie alloctone, che potrebbe mai succedere a noi, incontrasti vertici della piramide distruttivo-predatoria del pianeta?

Il nostro tempo è pieno di persone che per convenienza, ignoranza, denaro, denaro e ancora denaro negano la scienza e le scoperte che la accompagnano, ma l’unica risposta certa a queste domande è che è il prezzo della miopia imprenditoriale e dell’egoismo personale, purtroppo, lo pagheremmo tutti. In questo tempo opaco, però, ci sono comunque bagliori di speranza. Storie di chi vive il proprio percorso pensando che altri esiti sono possibili. E che le api ’domestiche’ non si possono abbandonare al loro destino. Stefano Parisi le sue api le conosce bene. Le cura e le difende non solo perché per lui sono una fonte di reddito, ma per quello che rappresentano per l’ecosistema: una presenza insostituibile.

Parisi, come è andata quest’anno la produzione di miele?

“Tutto sommato, un po’ meglio degli altri anni. A maggio e giugno è piovuto tanto e le api non sono uscite dagli alveari: abbiamo perso tutto il raccolto di miele di acacia”.

Un disastro...

“Abbastanza. Per fortuna abbiamo avuto quelli di castagno e millefiori”.

Per chi, come lei, ha le arnie nelle campagne di Cerreto Guidi, i castagni con la relativa fioritura sembrano un po’ fuori mano...

“Il cambiamento climatico è in atto da anni, per ovviare alle difficoltà che provocano le estati roventi o con troppa pioggia, siamo diventati apicoltori nomadisti”.

Cioè?

“Porto le mie api sull’Appennino, nella zona del passo della Futa. Servono un paio di giorni di adattamento alla flora del posto e poi iniziano a raccogliere polline. Quando finiscono la raccolta dell’essenza in fiore, le riportiamo a casa. Sposto tutta la famiglia durante la notte, quando dormono. All’alba si svegliano, escono dall’alveare e cercano fiori. Li trovano e svolgono il loro ’lavoro’ tranquillamente”.

Ha detto che quest’anno è andata meglio che in passato.

“Rispetto al potenziale di produzione, circa 500 chili di miele, abbiamo raggiunto il 30 per cento, nel 2023, siamo arrivati appena al 15 per cento”.

Attacchi della vespa velutina?

“Non ne abbiamo avuti, per fortuna. Il problema per me sono i prodotti chimici usati nei vigneti e negli oliveti vicini. Le api vanno sui fiori esposti ai prodotti chimici e vengono intossicate: muoiono o diventano inattive. Alla fine, portarle in montagna è la loro salvezza: stanno al fresco e si depurano”.

Come vede il futuro delle ’nostre’ api?

“Le api senza noi apicoltori non vivono più. Se gli apicoltori sparissero, anche il 70-80 per cento delle api sparirebbe. L’apicoltura biologica è un’impresa enorme ed è più una rimessa che un guadagno, ma le api apportano talmente tanto alla vita dei campi e delle coltivazioni che non si possono abbandonare”.