MICHELE BRANCALE
Cronaca

Ripensare le carceri a partire da Montelupo: cosa ci insegna il lascito di Alberta Bigagli

La psicopedagogista nata a Sesto Fiorentino era solita visitare i detenuti dell’ospedale psichiatrico di Montelupo, trascrivendone le storie che essi le raccontavano, raccogliendole in dei volumi: oggi c’è un trust che ne cura la pubblicazione

Una cella

Una cella

Montelupo Fiorentino, 15 novembre 2024 – Il recente decreto carceri ha suscitato da agosto molte polemiche. La sensazione è che tanti nodi siano rimasti irrisolti, pur con alcune indicazioni positive, come quelle relative alla riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti. Il punto è proprio rendersi conto di cosa sono le carceri oggi, in cui la popolazione è spesso caratterizzata da problemi psichici, tossicodipendenza e indisponibilità di casa quando si esce. L’ospedale psichiatrico di Montelupo può per certi versi fare da scuola a tutte le carceri italiane, dove la popolazione «psichica» è molto diffusa, anche per effetto delle tossicodipendenze, e vi sono centri clinici per i detenuti che presentano particolari patologie. Tutta la storia maturata tra le mura dell’ex ospedale può essere di grande utilità per affrontare non pochi aspetti dell’emergenza carceri, ma per farlo bisogna ascoltare e ascoltare tanto.

Alberta Bigagli (da Trust Alberta Bigagli onlus)
Alberta Bigagli (da Trust Alberta Bigagli onlus)

A tal proposito, il lavoro di Alberta Bigagli (1928-2017), psicologa e poetessa, nell’ambito delle carceri, ha contribuito a suo tempo a gettare consapevolezza su un tema estremamente complicato. La Bigagli infatti conduceva laboratori di scrittura con gli ospiti, ed ha lasciato un’ampia documentazione su cui sarebbe utile ritornare. I giovedì mattina la psicologa era solita visitare i detenuti dell’ospedale psichatrico di Montelupo, coi quali organizzava novanta incontri in un anno, durante i quali ascoltava e dava voce ai suoi amici, trascrivendone le parole nei suoi «Incontri con l’Alberta». Il racconto di Olindo del Fuoco, intitolato così dal nome del detenuto che lo ha confidato alla Bigagli, recita così: «Una volta ero in collina con gli amici // Avevo circa dodici anni. // Non so perché // loro mi hanno dato fuoco // e lanciato in aria. // Mi ritrovai lontano lontano. // Il fuoco si era spento // e i vestiti li avevo addosso // ma non avevo più capelli. // Passava una cinquecento e mi hanno detto // "vieni con noi". // Mi portarono in un paese // che non conoscevo // ma che mi piacque molto. // Non ricordo come si chiamava». Proprio questo racconto dà il titolo a un volume di circa 200 pagine, pubblicato da Giubbe Rosse, che rende conto del metodo «tu parli, io scrivo» attuato dalla Bigagli dal 1999 al 2001. La raccolta completa è custodita nell’Archivio diaristico nazionale e consta di 398 pagine: oggi il suo enorme lascito poetico-letterario è affidato a un trust di amiche che hanno curato l’edizione, e talvolta la riedizione, dei suoi scritti.

C’è un aspetto da considerare e che fa da premessa alla scrittura: Bigagli è stata innanzitutto un’appassionata educatrice tra carcerati e malati psichici, come una vocazione nata da quel «terremoto cristico» all’origine dei suoi percorsi umani prima e letterari poi: questo dà ancora più forza alla sua opera poetica e aiuta a cogliere lo spessore di una psicopedagogista con il culto della parola, del valore che essa ha come semina e come ponte per entrare in relazione con gli altri. L’abilità di Bigagli si rivela nel ricostruire, in versi, quei dialoghi avuti con gli altri che si fanno storia, espressione possibile dell’essere insieme vincendo con la parola l’isolamento: «Ci appartengono gli altri / sono il sole che avvolge». Le sue opere sono edite da Passigli, Polistampa, Valigie Rosse, Balda e Polistampa.