"Suonarono alle sei di mattina. Poi…". Poi il buio della deportazione. La morte. Buio che solo una sentenza definitiva per almeno accedere al fondo delle vittime della furia nazifascista potrebbe un po’ diradare. Il servizio pubblico Rai, per il 25 Aprile, si è occupato anche della vicenda della famiglia Castellani, di Empoli. Insieme a quelle parallele di Diomira Pertini (nipote dell’ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini) e di Mirella Lotti (testimone dell’eccidio di Pratale, a Badia Passignano, nella vicina media Valdipesa). Parla il figlio, Franco Castellani: "Mio padre fu bruciato (usa proprio questo verbo, ndr) al forno crematorio di Gusen, l’11 agosto del 1944". Giocava ala destra, era un bravo calciatore. Le vere ali sono sempre dei personaggi e Carlo lo era: "Pure mezzala e centravanti all’occorrenza – riprende Franco – negli anni ’20 siglò 61 gol, tanti per chi doveva anche difendere". Non fu possibile dribblare o difendersi degli aguzzini di Gusen...
"Aveva cominciato a giocare nell’Empoli a 17 anni – ancora Franco – poi andò a Livorno, poi di nuovo a Empoli. Arrivò quell’8 marzo del ’44. Alle 6 di mattina, ancora buio. C’era nebbia. Si sentii suonare il campanello. Fuori della porta c’erano dei militari ed un amico che tanto amico non fu. Cercavano il padre di Carlo. Dicevano che lo voleva il maresciallo…". Sembrava un semplice controllo. Il padre David, convinto antifascista, era in quel momento malato, andò per lui Carlo. Il ’controll’ era una cieca rappresaglia contro gli scioperi. Da Empoli alla stazione di Firenze ai campi di concentramento nazisti all’inferno di quel buio da dove Carlo non sarebbe più tornato. Oggi, quel buio è rischiarato dalla luce della memoria, ma c’è ancora tanta strada da fare. Ad esempio anche sul versante della giustizia. Franco Castellani, come ricordato anche dal servizio pubblico, si trova in una situazione analoga a decine di famiglie empolesi in attesa delle udienze per vedersi riconosciuto l’accesso al fondo. Carlo Castellani venne deportato assieme ad altri venti concittadini di Montelupo Fiorentino tra il 7 e l’8 marzo 1944 dai nazisti che cercavano come accennato il padre David. Volava sulla fascia destra dell’Empoli, come ogni ala che ‘mangia’ il campo e butta in avanti il pallone per ricorrerlo. La sua tragica fine, la fine della poesia del volo, in quel grigio forno crematorio è un simbolo nazionale della furia nazifascista.
A.C.